Regia di Mike Nichols vedi scheda film
Gli anni 60' per gli USA (ma anche per il resto del mondo), sono stati un decennio ricco di fermento che esploderà in tutta la sua portata durante gli anni 70'. Il cinema di Hollywood non poteva non subire il contraccolpo nel giro di pochi anni di avvenimenti di importanza epocale come l'uccisione del presidente Kennedy (il giorno in cui l'america perse la propria "innocenza"), i primi effetti nefasti della guerra in Vietnam, proteste degli afroamericani e in generale un'enorme sfiducia verso la retorica ed i valori americani che il sistema socio-politico continuava ad introiettare nella popolazione, la quale però innazi ad una realtà sempre drammatica, s'era rivoltata contro tale falsa retotica. La vecchia Hollywood che da sempre era sopravvisuta ad ogni sconvolgimento avvenuto nella società americana (crisi del 29' e addirittura la seconda guerra mondiale), non resse il colpo e finì con il crollare su sè stessa poichè ostinatamente proponeva pellicole che si faceva portatrici di un'ipocrita sogno americano che se è mai esistito, non trovava più concretezza da molto tempo. Mike Nichols non è mai stato un grande regista, eppure capì a differenza di molti altri registi americani molto più bravi di lui, che il cinema di Hollwyood doveva svecchiarsi in idee, contenuti e linguaggio.
Questa rivoluzione non la porterà avanti lui che dopo qualche film interessante s'è perso tra bassi e qualche alto, ma fu comunque uno dei primi se non il primo in assoluto ad intercettare l'aria di cambiamento. Regista di teatro, debuttò al cinema con un'oepra di derivazione teatrale; Chi ha paura di Virginia Wolff?(1966) che contribuì a svecchiare un pò il mainstream americano, portando l'asticella del lecito più in alto.
Il film rispetta l'unità di tempo, luogo e azione; essendo ambientato nell'arco di una nottata e parla di una coppia di coniugi; Martha (Elizabeth Taylor) e George (Richard Burton), la cui unione si trascina da tempo stancamente e l'insoddisfazione della donna verso il marito, l'ha resa acida, aspra ed isterica. In presenza di una coppia di amici Nick (George Segal) e Honey (Sandy Dennis); qualche bicchiere di troppo da parte di Martha, scoperchierà tutti gli altarini sopiti nella loro vita di coniugale. A differenza della stragrande maggioranza della critica americana che stravede per il film (con Donald Spoto come capofila), quella europea è sempre risultata abbastanza indifferente verso tale film, così come ha poca considerazione per l'intera filmografia di Nichols se non forse per Il Laureato. Tra i due estremi la verità sta nel mezzo, l'importanza del film non risiede nè nella storia in sè, già affrontata da alcune opere in precedenza (e comunque in europa erano temi sdoganati), nè nella regia in sè, poichè Nichols non è di certo Wyler o Hitchcock nel saper aggirare i limiti di un'opera che si rivela palesemente teatrale; ma nel lavoro compiuto sul linguaggio da parte dei personaggi, i quali fanno costantemente uso di parolacce e turpiloquio, dando una picconata decisiva al fastidioso codice Hayes, il quale censurava ogni elemento non conforme alla corretteza e al buon costume americano.
I fumi dell'alcool (e bevono per tutto il film) hanno tolto ogni freno inibitorio e Martha vomita come un fiume in piena acide accuse miste a parolacce ed espressioni ingiuriose, che delle volte non hanno senso nel contesto, ma alla fine possiedono una forte carica dirompente nel voler abbattere ogni ipocrita di decenza.
La sceneggiatura di Ernest Lehman racchiude la sua potenza nei suoi dialoghi e nel modo in cui i personaggi si esprimono; per capire quindi la portata innvoativa e dirompente basta confrontarli con i tanti film contemporanei ad esso o comunque precedenti; facendo il confronto Chi ha paura di Virginia Wolff? è molto più realistico nella sua esposizione, anche se per coglierne la portata innovativa và visto in lingua originale con i sottotitoli italiani visto che l'adattamento nostrano edocultura un pò di espressioni (difetto che affligge un bel pò di pellicole adattate prima degli anni 80', dove si tendeva ad edoculturare le espressioni più ingiuriose o comunque ad addolcire espressioni più aspre e piccate). Certo, certe volte il film tende a strafare con l'effetto di far perdere il senso di tutte quelle imprecazioni, però di sicuro è più vicino ad un modo di parlare delle persone; specie se colte da scatti d'ira violenti.
La regia di Nichols alla seconda visione l'ho percepita maggiormente, poichè il suo uso reiterato del primo piano (se non primissimo, che lascia fuori campo porzioni di volto), accentua la claustrofobia della casa (strapiena di libri ricolmi di scaffali visto che George è un professore di storia), dando così la sensazione che l'obiettivo della macchina da presa sia un coperchio tenuto a forza su una pentola (i nostri personaggi) pronta ad esplodere in tutta la sua potenza. Certo; tale tecnica a lungo andare risulta monotona e tende a stancare, oltre al fatto che se in casa ha un senso utilizzare tale regia, al di fuori dell'abitazione finisce con il mostrare il fianco, poichè cambiando lo spazio, il senso espressivo si perde del tutto e il primo piano sul personaggio non fà altro che mettere in risalto il monologo dell'attore (nella specie Richard Burton) a discapito dell'immagine.
Non a caso la sequenza migliore dal punto di vista cinematografico del film è quando il dialogo è lasciato fuori campo e uno sconsolato Richard Burton stordito e confuso per tutte le ingiurie della moglie nei suoi confronti, vaga nel corridoio della casa in cerca di una propria intimità, finendo poi con il rifiuggiandosi in uno sgabuzzino per prendere un fucile e compiere un'azione divertente ma che riassume un pò il messaggio del film e di questo magnifico personaggio.
A seconda della sensibilità dello spettatore si potrà giudicare se alla fine il gioco vale la candela; di certo il film è teatrale poichè la parola ha sempre il primo posto sull'immagine ed il regista non riesce mai ad aggirarla del tutto, ma consente di godersi delle belle perfomance da parte degli attori. Elizabeth Taylor ingrassò svariati chili, per essere credibile nel ruolo di donna di mezza età; la sua recitazione è istronica e le sue parole ributtanti tanto quanto il suo aspetto trasandato e sciatto; la sua voce acuta nel tono (in effetti un pò fastidiosa ascoltarla in originale, ma dato il personaggio ci sta) la rende insopportabile tanto da volerla sopprimere; non è una perfomance che amo di per sè, ma sicuramente ha fatto scuola (quante attrici ed attori hanno modificato il loro corpo dopo di lei? Una marea) e alla fine credo sia la migliore dell'attrice insieme a quella del film Improvvisamente l'Estate Scorsa (1959). Meglio RIchard Burton, attore molto sottovalutato e che forse s'è giocato male la sua carriera secondo molti, ma che qui sà come emergere senza sfidare la sua partner sul terreno dell'istrionismo dove sarebbe risultato perdente. L'attore gallese costruisce minuziosamente un marito avvilito, che invece di inveire sà aspettare (basta vedere gli occhi di Richard Burton sempre focalizzati sui suoi ospiti) e subire (anche se a fatica), per poi contrattaccare con stoccate potenti e precise; se la Taylor vomita parole alla rinfusa, Burton invece riesce a dare un maggior razionalità e costrutto al fiume dei discorsi che fuoriesce dalla sua bocca; tipico di un professore di storia che costruisce i fatti per poi esprimere un'analisi impietosa della realtà dei fatti. Visto che l'academy sà come si giudicano gli attori naturalmente ha premiato Elizabeth Taylor, ma ha lasciato a bocca asciutta il grande Richard Burton (perderà per ben 7 volte... e per lui manco la consolazione di un'oscar alla carriera); per quel che può valere visto che è morto da anni, esprimo comunque la mia più sincera stima ed ammirazione verso un determinato tipo di perfomance che può apparire meno appariscente ed immediato, ma che sono decisive poi nel contribuire alla valutazione alta di un film.
La pellicola ebbe 13 nomination agli oscar; con ben 5 vittorie (vinse anche l'attrice non protagonista) e un bel successo di pubblico al botteghino. Certo, l'AFI che l'ha messa tra le 100 migliori pellicole americane di sempre ha esagerato alla grande; ma alla fine comunque è un'ottima pellicola di transizione tra la vecchia Hollywood e la nuova Hollywood (di cui Nichols darà l'avvio con Il Laureato insieme a Gangster Story di Arthur Penn).
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