Regia di Tao Zhang vedi scheda film
CANNES ACID 2017 - CINEMA OLTRECONFINE
In un remoto e povero villaggio agricolo della regione orientale cinese dello Shandong, una anziana madre e nonna si rende mezza inferma a causa di una banale caduta casalinga. Da quel momento, nei figli si va formando l’ansia del gestire la donna: un sentimento misto a tattica volta a far si che i suoi già miseri averi vengano spartiti in modo favorevole per ognuno, e nello stesso tempo che ognuno cerchi di affibbiare all'altro fratello o sorella, la cura dell’anziana, che peraltro si prodiga tutto il giorno in lavori casalinghi che la trovano sempre affaccendata e tutt’altro che un peso.
Quando tra i figli l’ipotesi di farla ricoverare presso una clinica per anziani, diviene il progetto più opportuno e probabile, la donna prova ad opporsi ma inutilmente. In attesa che il posto si liberi, la donna viene rimbalzata come un rimpiattino di figlio in figlio, e le cure di cui abbisogna ritardate per non spendere i già pochi risparmi che restano.
Un ictus sopravvenuto poco dopo, conferirà alla vecchia uno strano ambiguo atteggiamento: come in preda ad un tic nervoso di natura emotiva, la donna, in certe situazioni, viene sempre più spesso scossa da un riso nervoso e silenzioso, che la progenie considera erroneamente come un affronto irrispettoso alle rispettive fatiche quotidiane, alla loro operatività ed organizzazione, generando ed aggravando le già perduranti difficili relazioni all’interno di quella modesta famiglia di stampo matriarcale.
E mentre la donna tiene duro ai tentativi di lasciare la vecchia malandata abitazione di legno ad uno dei figli, pensando ad una figlia nullatenente da tempo assente, emigrata in città a Shanghai senza più dare traccia di sé lasciandole il figlio ormai teenager, il destino della vecchia si compie alla fine di un ultimo capitolo di vita tutt’altro che foriero di risate, ma anzi cupo e disperato, minato dalla miseria e dalla bramosia che rende tutti nemici ed egoisti.
Nell’opera prima interessante di Tao Zhang si respira aria realistica di vita cruda e schietta di campagna, quando la miseria insegna ad arrangiarsi e a diventare famelici anche con i persone del proprio sangue e ceppo familiare. Last laugh ci trasporta in regioni del pianeta distantissime geograficamente, ma non molto a livello di usi e costumi se le si confronta con il nostro passato dei periodi dei nostri nonni o bisnonni, lungo il corso delle due drammatiche guerre mondiali.
Spicca il pudore, il tratto sincero e per nulla edulcorato con cui viene presentato, raccontato e sfaccettato il personaggio mite ed umile della anziana dimessa protagonista, ritrosa, pudica, paziente e mite anche quando quella specie di convulsione incontrollata ed imprevedibile la coglie nel suo ultimo periodo di vita, generando incomprensioni e anche ire da parte di alcuni dei familiari, spesso crudelmente cinici, freddi e intransigenti.
Ma il film si giova anche di illustrare senza mai un momento zuccheroso ed inutilmente artificioso, momenti di intimità familiare serena tra una nonna ed i suoi nipoti, quelli che sognano di lasciare quella valle di povertà e disperazione per imparare a vivere e a sognare qualcosa di piacevole (la scena della nipote che lava i capelli alla nonna distesa di fianco su un tavolo è sublime e sin emozionante), quelli che paiono redimersi dopo un furto attuato sconsideratamente, ma per fini in fondo nobili.
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