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I racconti del cuscino

Regia di Peter Greenaway vedi scheda film

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La recensione su I racconti del cuscino

di Kurtisonic
8 stelle

Il cinema di Greenaway vola in Oriente. Sesso, morte e libri sono scritti dove non te lo aspetti. Manifesto dell'immagine vivente dove una modella, i suoi amanti, un editore diventano riquadri di vita vissuta fino in fondo.

Cinema e tv sono morti e io non ci piango sopra.(P.Greenaway)

 Il cinema non è mai un mezzo specifico a sé per ridefinire le dinamiche percettive dello spettatore moderno secondo Peter Greenaway, nei suoi lavori si compenetra con le arti che di volta in volta ricreano un’immagine densa di significati che non meramente al servizio della storia raccontata. La contaminazione e le interconnessioni linguistiche  tra forme espressive diverse  sembrano muoversi tra il pubblico cinematografico molto più lentamente che altrove, e la ricerca di nuove strutture di comunicazione visiva al di fuori della manipolazione semplificata delle tecnologie diventa per lo più oggetto di rifiuto irriconoscibile,   materiale per soli appassionati o esclusiva di altre forme mediali.  Autore e artista poliedrico, Greenaway attratto dalle prime tecniche sperimentali sul montaggio di Ejzenstejn , dalle sovraimpressioni di Abel Gance  fino alla scomposizione narrativa di Resnais, riesce a sfornare lavori espressivamente diversi, talvolta con ambientazioni molto simili che ruotano intorno ad un periodo  che va dal rinascimento ad oggi,  con l’uomo come unità centrale di spirito e corpo che si mette in relazione con gli strumenti delle arti, del sapere e della cultura misurando  volontà e desideri.

 

"Esistono solo due piaceri, quello della carne e quello della letteratura." (Dal film)

La giovane modella Nagiko impara fin dalla nascita il piacere e l’arte dello scrivere. Dapprima grazie al padre, calligrafo che scrive con passione  sui corpi, successivamente abbinandolo ai piaceri della carne su se stessa e sul corpo dei suoi amanti. Diventata lei stessa esperta trascrittice di calligrammi, scriverà dei nuovi racconti prendendo spunto da un testo  della tradizione classica giapponese grazie al quale otterrà un’inaspettata vendetta. Il film si presenta come un ipertesto con riquadri, sovrapposizioni, immagini fotografiche, ideogrammi  in movimento, mentre la storia si dipana nella sua duplice dimensione. Narrazione e materiale narrato più che completarsi si affiancano creando una mirabile atmosfera immersiva  in cui lo sguardo si perde e si ritrova, e in questo caso più che mai la reiterata visione non fa che premiare un coinvolgimento sensoriale sempre maggiore. Dunque eros dell’arte  tra vita e morte come punti più alti di un’esperienza artistica ed espressiva autentica e necessaria, prima incanalata dalla volontà altrui con Nagiko ancora immatura, poi cosciente della fisicità ne trasferisce su di sé il massimo del piacere sentendo la sua pelle come la carta su cui si scrive, in ultima analisi quando la realizzazione del corpo e dello spirito diventa consapevolezza, è l’artista che rinasce, che sboccia agli occhi del mondo, diventando lei stessa pennello e mente della sua arte.

 

"..Perchè a me non interessa lo psicodramma contemporaneo, con la  sua pseudo analisi freudiana da supermercato.." (P.Greenaway)

La riconoscibilità dell’autore si conferma ancora una volta, i lavori di Greenaway non contengono mai un’apologia morale, piuttosto  ricalcano elementi  di costruzione ricorrenti, l’artista , il suo fare, la provvisorietà e la sua fine. In opposizione ad una figura violentemente attuale, un mecenate, un produttore, o in questo caso un editore che sfrutta senza scrupolo le debolezze dell’artista. Il suo corpo diventa ciò che egli è realmente, su cui sono scritte le pagine del testo della sua esistenza. Giocando con cromatismi , dissolvenze e interazioni linguistiche non sappiamo più se ascoltiamo o se lo sguardo rincorre l’immagine dentro uno dei riquadri ad un lato dello schermo. Il regista tenta di farci partecipe della sua creazione, di provare un esperienza sensoriale al di là del trovarsi di fronte ad una storia che potremmo definire seppure con qualche particolarità, di educazione sentimentale.  Nella prolifica carriera di Greenaway,( che i detrattori  continueranno a definire come portatore del vuoto, barocco, manierista o radical snob..) il film si pone come uno snodo di rilievo dal quale non recedere nel futuro  non tanto per lo stile a dir poco esuberante, ma per aver dilatato la tranquilla riconoscibilità narrativa che in fondo appariva più marcata nelle opere precedenti che lo hanno reso famoso.

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