Regia di Julien Duvivier vedi scheda film
La semplice trama lascia intendere che siamo in presenza di una vicenda che ricorda i gialli di Agatha Christie. L’impianto teatrale fa venire in mente l’eccezionale “La parola ai giurati” di Sidney Lumet (1957), mentre la direzione coreografica degli attori deve aver in parte ispirato François Ozon nel realizzare “8 femmes” nel 2002.
L’idea di partenza è ottima: smascherare a 15 anni di distanza il traditore di una rete partigiana, a causa del quale il gruppo era stato scoperto e il suo capo assassinato. Ben presto, appare chiaro che ogni singolo personaggio avrebbe avuto un qualche buon motivo o un interesse personale per far cadere la rete clandestina. Il film abbandona pertanto la via dell’investigazione per dare modo ai grandi interpreti di cui dispone di dare libero corso alle proprie capacità recitative. E’ la sua forza, ma anche il suo punto debole. Travolto dai numeri messi via via in scena dai vari Bernard Blier, Serge Reggiani, Paul Meurisse e Lino Ventura (per citare solo gli attori piuttosto noti anche in Italia), lo spettatore è portato a disinteressarsi dell’accumulo di sospetti e indizi per seguire divertito la parata di stelle. Stelle tra le quali spicca ovviamente quella di Danielle Darrieux, affascinante e carismatica, anche se, all’uscita del film, la sua prestazione divise la critica, parte della quale rimproverò all’attrice (deceduta pochi giorni orsono alla veneranda età di 100 anni) di aver interpretato il suo ruolo con eccessiva teatralità. Un appunto che mi sento di condividere. Solo nel precipitoso finale il suo personaggio si rivela come il più intenso e passionale.
Il film è di indubbia qualità, ma è cinema facile, che non sorprende anche se è ben fatto. In compenso, è un momento di grande teatro.
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