Regia di Jenny Suen, Christopher Doyle vedi scheda film
TFF 35 - CONCORSO TORINO 35
A Hong Kong un antico villaggio di pescatori disposto a palafitte sull'estuario del fiume, è da tempo minacciato dalle bieche mire di speculatori che vorrebbero trasformarlo in qualcosa di più redditizio.
Nel villaggio vive, col padre ed il fratello, una ragazza dalla pelle chiarissima, allergica alla luce solare e per questo costretta ad uscire la sera o a bardarsi di cappelli a falda larga ed indumenti coprenti.
Dagli altri pescatori la donna è guardata con sospetto ed una superstizione popolare circola su di lei e la considera auspicio negativo al raccolto del mare, impedendole l'accesso sulle imbarcazioni.
Solitaria, pensierosa, irrealizzata, la ragazza è solita trovare riparo e firse confirto tra le mura sbrecciare ma ridondanti di antiche nobiltà, di una antica casa coloniale, ora abbandonata all'incirca in un parco tenuto incolto e sormontato di rampicanti invasivi ma con fare quasi protettivo.
L'arrivo di un misterioso viaggiatore, bello ed elegante e dai modi accattivanti, riaccende poco per volta nella donna la passione del vivere, la scintilla che le è sempre passata lontana, o al massimo sfiorandola.
Nella elegantissima ed estetizzante sua opera prima, Jenny Suen si fa accompagnare dalla mano esperta del celebrato direttore della fotografia Christopher Doyle, non nuovo ad avventure di regia.
Ne viene fuori un film dal punto di vista formale davvero seducente, meraviglioso, esteticamente in simbiosi perfetta tra immagine e colonna sonora. I richiami al cinema di Wong Kar-Wai sono evidenti e ciò diviene pure l'aspetto più esaltante; certo la storia si riduce a ben poca cosa, non riuscendo o volendo il film decidersi mai a puntare dritto verso uno degli stimoli o delle argomentazioni che il tenue racconto qua e là lascia timidamente intravedere.
Evitando tuttavia anche di rovinarsi scadendo nella denuncia ecologica o nella storiella d'amore più consueta e vista mille volte.
Ma in tutta questa estasi visiva e contemplativa così ben orchestrata e musicalmente accompagnata con stile impeccabile, l'occhio rimane certamente appagato da tanta bellezza che non è mai (e' proprio questo il bello e l'insolito) sinonimo di perfezione, ma spesso, al contrario, una indolente irreversibile decadenza che si trasforma in arte apparentemente spontanea, nel contesto di una realtà ricostruita con un gusto ed una coordinazione deliberate e sapienti, calcolate ma trascinanti.
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