Regia di Yue Chen vedi scheda film
Torino Film Festival 35 - Concorso.
In corrispondenza del boom economico, le differenze tra padri e figli si fanno marcate. Da una parte c'è chi non aveva nulla e con il sudore della propria fronte si è creato una posizione solida, dall'altra chi ha trovato la pappa pronta e non ha mai conosciuto il significato della parola sacrificio. In questa situazione, le sirene dell'accidia suonano a pieno regime e lasciarsi trascinare nel turbine della dolce vita è quanto di più facile esista.
Dopo la morte del padre, il giovane Liu Shidong (Liu Shidong) si ritrova tra le mani una piccola fortuna, che gli consente di trascorrere le sue giornate tra tavoli da gioco, anelli di fumo e alcol. Intorno a lui ruotano amici e alcuni interessi femminili, si tratta solo di non farsi scappare l'occasione propizia.
Peccato che, in un caso patologico come il suo, debba prima sopraggiungere uno stimolo che tarda a manifestarsi.
Rappresentare le giornate di chi non pensa al futuro vivendo nell'ozio, privo di alcuna motivazione e quindi senza quella spinta che aiuta a trasformare le ambizioni in qualcosa di concreto, rischia di rivelarsi una trappola mortale. Un imbuto dal quale il regista Yue Chen non riesce a scampare, finendo intrappolato in quella noia che dal protagonista trasmigra all'intero film.
Un soggetto che sarebbe stato più indicato per un cortometraggio, con i suoi soli settanta minuti che paiono durare molto di più.
D'altro canto, per raccontare un plot che ruota continuamente intorno a se stesso, rigirando il coltello nella piaga di un buco nero, occorrevano uno stile minimalista, l'estasi della dilatazione e un approccio umanista che in questa circostanza faticano a emergere, qualora non siano del tutto assenti.
Come se non bastasse, nemmeno l'attracco conclusivo di questa ronda, che avviene dopo aver scandagliato i vizi del corpo su giornate che più vuote non si può, riesce a intaccare gli equilibri intavolati, anche se una percettibile variazione c'è e un po' di potenziale calore comincia a trasparire.
È comunque un'inezia e lo spettro esistenziale rimane troppo scarno, uno stato di svilimento per nulla agevolato da uno stile piatto e una spiccata ripetitività, che nemmeno nelle tante conversazioni proposte può far leva su passaggi tali da smuovere la sabbia depositata sul fondale.
Se non altro, The scope of separation è coerente fino alla morte con il contenuto che espone, solamente non so quanto questa possa essere considerata una vittoria sul campo.
Desolante, più il film in sé dell'inettitudine dell'immoto Liu.
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