Regia di Sebastiano Mauri vedi scheda film
"La vita non è una favola, ben detto caro Stan, e allora la facciamo diventare una storia vera, ma a lieto fine. Sarà dura, ma ce la possiamo fare".
“La vita non è una favola, bella mia!”
Il caro Stan che tuona con voce stentorea ricordando alla donna qual è il suo posto nel mondo non sa che la signora Favola, sua moglie (mrs. Fairytale, per capirci) sta per ammazzarlo, le è spuntato un pisello (pardon!) ha messo incinta Emerald, la sua migliore amica, è stufa di un marito che gliele dà un giorno sì e l’altro pure, dunque che deve fare?
Ma poiché una favola è pur sempre una favola, e quelle nere le hanno inventate quelli che le favole non le hanno mai lette né scritte, Stan non muore, mrs.Fairytale, con parrucca a riccioli biondo/rame, convolerà a giuste nozze con la sua amata Emerald, una bella bambina nascerà e nonna/mother sarà la nonna più felice del mondo come tutte le nonne che si rispettino.
E l’arcobaleno splenderà sulla bella famigliola che, dopo il temporale, gioca sui prati dell’Acquedotto Appio Claudio all’ombra dei pini svettanti nella calda estate romana…
Peccato lo spoiler così, all’inizio, ma chi non ha mai letto le favole si lamenterà, chi le conosce bene fin da bambina/o sa come finiscono, lo sa dall’inizio, e sa che la matrigna cattiva, la strega con la mela, il lupo di Cappuccetto rosso, Barbablu, la strega di Hansel e Gretel e tutti gli altri si perdono alla fine, nessuno si chiederà mai se vanno in galera, se li chiudono in manicomio, se gli tagliano qualcosa di troppo.
Niente, continueranno a blaterare convinti di aver ragione loro, ma intanto le famiglie arcobaleno e quelle del Mulino Bianco impareranno a convivere sotto le millenarie arcate della Roma eterna, e cinema e teatro sapranno come raccontarcelo.
Filippo Timi lo fa alla grande.
Scrive una pièce teatrale che fa il suo piccolo giro, poi la trasforma in film con Sebastiano Mauri e il giro diventa grande.
Chi va a vederlo resta un po’ spiazzato, all’inizio, sa di essere al cinema ma sembra di stare a teatro.
Non importa, fa parte del gioco, anche questa è un’unione anomala, non standardizzata nè rassicurante la morale comune, ma ampiamente praticata, l’elenco sarebbe lungo e funziona, e allora?
Il cinema c’è.
E’l’America di Doris Day e dei vestitini a fiori strizzati in vita, dei tacchi a spillo e del rock and roll, dei boccoloni e dei bigodini in testa, del macho Elvis che fa l’idraulico e delle Casalinghe Disperate che vorrebbero ma non possono, del mobiletto bar con il bourbon a fiumi e del bicchiere pieno sempre in mano finchè non crolli sul divano con Marylin che cerca di rianimarti.
L’America color pastello dei film di Douglas Sirk, delle donne sorridenti e appagate che aspettano a sera il maritino con la torta in forno e il baby doll in camera. Se va bene.
Perché se va male il maritino torna ubriaco e le mette incinte per la quarta volta.
E poi c’è l’oggi, il drammatico oggi con i governi duri e puri.
“Ti vedono e non capiscono, ti muovi da donna ma si vede che non sei propriamente una donna… Devi scansare il giudizio dello sguardo. A me per uscire basta una camicia e pettinarmi, una donna ha più gli occhi addosso: se è troppo femminile non va bene, sennò è sciatta. Ho capito la sofferenza trans, sentirsi un’identità chiara ma avere un corpo che non corrisponde a quello che tu percepisci. Bisogna avere il coraggio di accettare di essere in un altro corpo, farlo accettare agli altri. È un percorso doloroso ma anche liberatorio.”
Serve altro?
Timi nelle vesti della signora Favola è superlativo, una vera futura mamma con o senza parrucca, con o senza le scarpine colorate che hanno dovuto modellare sul suo 47 di piede.
A chi lo intervista ricorda che nel 2011, quando gli nacque l’idea, aveva appena finito di girare Vincere di Bellocchio: “Avevo messo in scena un certo tipo di energia, e finito di girare mi sono domandato perché avevo voglia di tornare a teatro: dopo un ruolo così estremo, così testosteronico, come posso cimentarmi in qualcosa di altrettanto forte? Volevo scrivere un testo come se fosse scritto negli anni Cinquanta, un po’ in contrapposizione all’altro ruolo, per cimentarmi in qualcosa di totalmente diverso.”
L’altro ruolo era quello di Mussolini, lei era Irene Dalser, una storia maledetta difficile da dimenticare.
La vita non è una favola, ben detto caro Stan, e allora la facciamo diventare una storia vera, ma a lieto fine. Sarà dura, ma ce la possiamo fare.
Quello che mi è rimasto è una certa fierezza del lato femminile, essere una donna per cinque settimane sui tacchi e fare finta che vada tutto bene…
E’ l’amore che crea una famiglia … o no?
www.paoladigiuseppe.it
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