Regia di Andrea Tagliaferri vedi scheda film
Nel sostanziare il malessere di certi stati esistenziali ci sono luoghi che risultano più ricorrenti di altri per la capacità di trascendere la geografia del paesaggio e diventare di colpo il riflesso della condizione umana dei personaggi. In questo senso il delta del Po, inteso come l’insieme di corsi d’acqua e superficie terrestre che dalla zone più impervie del settore interno arriva ad affacciarsi sul mare adriatico, è stato spesso chiamato dal cinema a rappresentare la parte meno pittoresca e più oscura della provincia italiana. Pur riconoscibile, per le caratteristiche topografiche di talune ambientazioni (le valli del Comacchio), le location di Blue Kids fanno di tutto per svincolarsi dalle proprie origini, avendo l’ambizione di figurare come collettore di memorie che appartengono tanto alla cronaca contemporanea (il delitto di Novi Ligure) quanto a quella della sala cinematografica, essendo i delitti compiuti dalla coppia omicida protagonista della vicenda tanto simili per contesto e – mancanza di – motivazioni a un classico della New Hollywood quale La rabbia giovane di Terrence Malick. Figli dell’opulenza industriale sopravvissuta al terremoto della crisi economica, i due fratelli (Fabrizio Falco e Agnese Claisse) si aggirano senza meta dentro la storia, guidati da un istinto di morte che è pari solo all’apatia che li consuma; “vuoti a perdere”, a cui il regista Andrea Tagliaferri, qui all’esordio, consegna il fascino e la decadenza degli angeli caduti.
Tenendo a mente le teorie di sulla banalità del male e facendo propria la percezione di un tempo circoscritto al qui e ora dei “nuovi barbari”, Blue Kids azzera le spiegazioni sociologiche, privando i ragazzi di una biografia che in qualche modo permetta allo spettatore di risalire al punto di rottura. Al contrario, a essere mostrato è il male che li attanaglia e le conseguenze che questo è capace di provocare a loro e agli altri. Tagliaferri fa sua la lezione del produttore Matteo Garrone (di cui è stato aiuto regista), assegnando al paesaggio naturale il compito di contribuire a costruire il senso del film. Il regista gli si rivolge mettendosi alla ricerca di simmetrie, di ripetizioni e discontinuità che, esaltate dall’assenza di figure umane e dalla staticità delle riprese, finiscono per trasfigurarlo, facendolo diventare il simbolo del vuoto e della solitudine che soffoca le vite dei personaggi. Non solo dei due protagonisti ma anche di Matilde Gioli, a cui Tagliaferri offre la possibilità di ritagliarsi una parte diversa da quelle a cui ultimamente ci aveva abituato.
La brevità del minutaggio (75’), al quale le peregrinazioni dei nostri offrivano la scusa di un’estensione di molto superiore testimoniano la volontà del regista di tenersi alla larga da lungaggini e intellettualismi. Costruito su un equilibrio precario ma suggestivo, Blue Kids avrebbe avuto bisogno di una scrittura più consistente, soprattutto quando si trattava di raccontare la fine dei giochi, provando a dirci qualcosa di più a proposito del legame che unisce i due protagonisti. D’altra parte la rarefazione narrativa è decisiva nel favorire la dimensione psicologica e mentale entro la quale si compie il disegno dei due reprobi. Bravi gli attori, interessante la regia.
(pubblicato su taxidrivers.it)
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta