Regia di Gianni Zanasi vedi scheda film
Che Gianni Zanasi sia regista fuori dal comune è un fatto assodato ma che lo siano anche i film da lui realizzati è tutto un altro paio di maniche. Un po' come i personaggi dei suoi lavori il regista di Vignola è abituato a parlare poco e a comparire ancora meno, preferendo che a farlo sia il risultato del suo lavoro e cioè i suoi film, anche questi, come si conviene, centellinati con il contagocce: appena cinque in oltre venti anni di carriera sono un record di parsimonia che per l'appunto fanno di ogni uscita una specie di piccolo grande evento. In realtà, rispetto alle usanze, "Troppa grazia" rappresenta un'eccezione visto che il film arriva sugli schermi italiani dopo essere passato (e aver vinto un premio) alla Quinzaine des Réalisateurs dell'ultimo festival di Cannes e quindi, una volta tanto, facendo leva su un ritorno pubblicitario che in questo caso trova terreno fertile in una materia come quella delle apparizioni mariane antropologicamente connaturate alla natura della nostra storia.
In realtà, pur nel suo tratto distintivo, "Troppa grazia" sembra la naturale prosecuzione del film che lo ha preceduto a cominciare dal titolo - "La felicità è un sistema complesso", il cui significato si addice come meglio non si potrebbe al percorso esistenziale di Lucia (a cui presta corpo e voce una effervescente Alba Rohrwacher), madre di una figlia adolescente e geometra specializzata in rilevamenti catastali, impegnata a barcamenarsi tra la fine della relazione con Arturo (Elio Germano) e i rimorsi di coscienza dovuti alla possibilità di nascondere - per bisogno di soldi - le anomalie presenti sul terreno nel quale dovrà nascere un importante polo immobiliare. A conti fatti, più o meno ciò che capitava all'Enrico Giusti di "La felicità è un sistema complesso", alle prese con una altrettanto dolorosa consapevolezza sulle implicazioni negative poste in essere dalle risultanze del proprio lavoro. E come nel lavoro del 2015, attraversato da un'anarchia che in entrambi i casi si manifesta, da una parte, come critica fatta a se stessi prima ancora che agli altri, rispetto all'accettazione passiva delle storture del sistema capitalistico, una volta di più combattuto anteponendo a quest'ultimo il primato dell'ambiente e la sua salvaguardia; dall'altra, orientandosi a combinare gli aspetti teorici e pratici della questione con una "chiamata alle armi" che nel caso di Lucia - e come vedremo anche di Arturo - si profila come una svolta personale, indispensabile a farle riprendere in mano la propria vita e quella della sua famiglia.
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