Regia di Alessio Cremonini vedi scheda film
Arrivare a conoscere la verità su un caso di cronaca tanto chiacchierato come la morte di Stefano Cucchi, è qualcosa di piuttosto improbabile. Provare a raccontarla, senza che sia stata messa ancora la parola fine al processo in corso e senza che la verità tutta sia mai venuta a galla, è impresa più che ardua.
Alessio Cremonini racconta di essersi messo alla ricerca di un film sulla storia di Cucchi una mattina del 2015, quando alla radio passavano aggiornamenti sul processo in atto, e di aver trovato nulla. Da allora in poi la sua è stata quasi una missione.
La responsabilità morale infatti, supera ogni altro aspetto cinematografico. Ecco perché lo spettatore non si soffermerà mai sulle interpretazioni o piuttosto sulla messa in scena del dramma, perché il solo e unico protagonista assoluto è il senso di impotenza causato dalla silente omertà che aleggia per tutta la durata e che è poi il colpevole primario della tragedia di Cucchi.
E se i fotogrammi sembrano prevenire, almeno in alcuni casi, da una fiction televisiva, in altri, soprattutto quando in scena c’è Alessandro Borghi, la fotografia riesce ad esprimere l’angoscia e la sofferenza che è impressa negli occhi di Borghi, che si carica addosso il peso di un’interpretazione dallo spessore immenso.
L’attore romano, riesce a ridare vita a Stefano Cucchi, non solo attraverso la trasformazione fisica, ma anche calibrando la voce che diventa praticamente identica; impressionante è la comparazione con il file audio della prima udienza di Stefano che viene fatto ascoltare mentre scorrono i titoli di coda. Il lavoro di Borghi è indescrivibile: il silenzio della sofferenza, il peso dell’umiliazione, la consapevolezza di non poter essere altro che “conseguenza degli eventi”. La prova attoriale che ne viene fuori è la conferma della capacità interpretativa, di Borghi; pur avendone già avuto prova (vedi Suburra-La serie e The place, per credere), qui ne arriva la consacrazione.
Il resto del cast non è degno di cotanta professionalità. Ed il film, quando entrano in scena alcuni specifici personaggi, finisce per sembrare quasi spaccato in due. Max Tortora e Jasmine Trinca, per quanto si sforzino di tenere testa al collega, non riescono minimamente ad arrivare quantomeno a livelli accettabili e, quando arrivano in scena, lo spessore della pellicola si inclina vertiginosamente. Ma, essendo comunque solo personaggi di contorno, comprimari utili ma non necessari, e grazie anche allo spessore della storia, ottimamente rappresentata, che tende ad oscurare, ogni altro aspetto, come già sopra esplicato.
Merito ad Alessio Cremonini di essere riuscito a raccontare una storia complicata, che ancora presenta lacune, senza schierarsi mai. Limitandosi solo a raccontare, che poi, in certe circostanze è la cosa più difficile che si possa fare. Ci ha donato la possibilità di fermarci a riflettere, di tornare con la mente a certi gesti, a certe frasi, arrivando a chiedersi semplicemente: perché? Pur consapevoli che la risposta resterà per sempre ignota.
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