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Il grande spirito

Regia di Sergio Rubini vedi scheda film

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La recensione su Il grande spirito

di Furetto60
5 stelle

Insolito "western metropolitano" visionario e stralunato. Sceneggiatura latitante, interpretazioni convincenti. Così, così.

Il protagonista di questo curioso "western metropolitano"  è un cinquantenne dall’aria malmessa,un ladruncolo da strapazzo, Tonino alias Sergio Rubini, detto il Barboncino ,per via di un grossolano ma gravissimo errore, commesso durante una rapina. Spettinato e trasandato, l’uomo che doveva fare da palo durante una rapina, approfittando di un momento di distrazione generale, si è impossessato dell’intero bottino di un furto in banca e inseguito dai suoi ex complici, scappa sui tetti delle case di Taranto, fino a giungere in una mansarda, in pratica un lavatoio fatiscente, di un palazzo periferico, a poche centinaia di metri dalla famigerata acciaieria Ilva. Qui abita Renato alias Rocco Papaleo, un eccentrico personaggio, un malato di mente, che crede di essere un Sioux, si fa chiamare Cervo nero e afferma di essere in grado di comunicare con “Il grande spirito”. Tonino, nel corso della fuga, si è infortunato ad una gamba, per cui suo malgrado è costretto a fermarsi lì, anche perché è sotto assedio, il quartiere è presidiato dai suoi inseguitori. In questa situazione a Tonino non rimane che un’unica disperata possibilità, accettare le cure peraltro efficaci e l’ospitalità di quello squilibrato e bizzarro individuo, reduce da un manicomio, come poi si saprà, che si comporta come un pellerossa e che, proprio per questo vede il mondo da un’altra prospettiva, rivelando a sorpresa di avere “letteralmente” molte frecce al suo arco. In quell’abbaino, in totale abbandono e degrado, non c’è energia elettrica, non c’è acqua, non c’è praticamente niente. Una prostituta che abita nello stesso stabile, talvolta con il beneplacito di Renato, ci si reca per consumare le sue prestazioni sessuali con gli occasionali clienti e poi si vede di tanto in tanto, un avido nipote di Renato/Cervo nero, sordido e squallido individuo, che cerca di convincere inutilmente lo zio al ricovero, in una struttura psichiatrica, con la complicità di un corrotto assistente  sociale, in modo da potersi ulteriormente allargare nel  suo superattico, anch’esso sottratto fraudolentemente al parente. Le due protagoniste femminili, peraltro assolutamente in parte, sono l’amante di Tonino, Bianca Guaccero, che mentre gli giura amore, lo tradisce e d’intesa con i vecchi complici malndrini, fa di tutto, ma vanamente, per incastrarlo e la vicina di casa, vittima del marito, che la costringe a prostituirsi, malmenandola continuamente  e sottraendole i soldi ricavati dalla sua triste attività. Rocco Papaleo  è abile e volenteroso, nel dare vita a un folle visionario ed ecologista, dedito a riflessioni farneticanti e a esternazioni deliranti, ma la sceneggiatura, seppur firmata a sei mani dallo stesso attore e regista Rubini, con Cavalluzzi e Pasquini, fa acqua e non lo supporta esaustivamente. Non conosciamo il background dei due protagonisti. Al ladruncolo Tonino è dedicato un unico flashback, strumentale solo a rivelare le ragioni del suo soprannome, per quanto riguarda il personaggio di Renato, tutto ruota attorno alla faccenda  dell’Ilva,croce tanta e delizia poca, dei Tarantini, che presumibilmente, gli ha fatto perdere il senno. Data la struttura “teatrale” della storia, sarebbe stato opportuno farcire il film con dei dialoghi di spessore, ma invece è tratteggiato  da discorsi fumosi, che aspirerebbero a valutazioni di taglio esistenziale, ma si rivelano del tutto velleitari. Quanto al messaggio politico-ecologico, tutto si riconduce all’affermazione che «gli yankee hanno costruito la ciminiera laddove prima era tutta prateria e ci pascolavano i bufali». Troppo poco. Insomma sembrerebbe un’occasione mancata

 

 

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