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Le onde del destino

Regia di Lars von Trier vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Le onde del destino

di ed wood
8 stelle

Nel bizzarro cine-percorso di Lars Von Trier, questo film risulta un po' il suo "classico" (se si può usare questo termine per il regista danese), quello che definisce parecchi aspetti della sua poetica e del suo stile, nonchè uno dei pochi a godere del favore di buona parte della critica. E' un film di una linearità e trasparenza evidenti, che fa proprio del suo essere "esplicito" la sua cifra estetica dominante. E' tutto aderente alla personalità di Bess, protagonista fanatica in conflitto con un micro-cosmo sociale a sua volta fanatico. C'è lei che è pazza di suo e ancor più pazza per amore; vive la sua religiosità in modo programmaticamente schizofrenico, dialogando direttamente con un'altra parte di sè che fa corrispondere a Dio; vive la sessualità e la passione per il marito infermo in un modo tanto puro e generoso negli intenti quanto turpe e scandaloso agli occhi della bigotta comunità luterana. Sua sorella prova a fare da tramite fra l'ottusità dogmatica di clericali e popolani, espressione entrambi di una civiltà che pare ferma al Medioevo (altro che Controriforma!), e l'ottusità genuina di Bess. Passano i decenni, cambiano i costumi sociali e cinematografici, ma il modello per i giovani "provocatori" in terra danese resta sempre quello: Carl Theodor Dreyer. Quest'ultimo ha fondato una intera carriera (o almeno il pugno di film che lo hanno reso grande) sulla dialettica fra una Fede vissuta in modo dogmatico e repressivo ad una Fede vissuta invece con autentico amore ed altruismo. E l'amore di una donna per un uomo, difatti, prende il posto di quello astratto verso Dio e verso Tutti proprio nell'ultimo capolavoro di Dreyer, "Gertrud". Trier riparte da lì: il Dio di Bess è immanente, incarnato nella voce della stessa donna, e proprio per questo vivo e reale. Se in Bergman protagonista era spesso il "silenzio di Dio", in Treir Dio semplicemente esiste e comunica con chi ha Fede. E ad avere vera Fede sono i puri di cuore, i matti, gli umili. Come in Dreyer e come in Tarkovskij: e difatti, il tema del sacrificio e quello de miracolo, centrali nel cinema dei due grandi Maestri, compaiono in maniera quintessenziale nelle "Onde del destino". Il problema è che, in Trier, volutamente, mancano del tutto sia la contemplazione rigorosa di Dreyer e dei suoi ipnotici piano-sequenza in campo medio, sia quella sfaccettata e criptica dello "scultore" Tarkovskij: queste strade vengono rinnegate in favore di un approccio smaccatamente iper-realistico, con camera a mano, jump-cut, brevi soggettive, primissimi piani...insomma, le prove generali del Dogma95. Il film è tutto lì: nella limpida fisicità della messinscena, nella concretezza di dettagli anche sgradevoli. Eppure, il naturalismo viene negato nella misura in cui l'artificio, figurativo, sonoro e narrativo, viene esplicitato: nei tableau-vivant che introducono i 7 capitoli (con immagini naturali alternate cromaticamente, quasi delle miniature tarkovskijane), nella scelta di classici rock e pop degli anni 60 e 70 (che straniano rispetto allo stile ruvido delle immagini del film, veicolando un concetto di "bello" molto idealizzato, nobile ed anacronistico), nel miracolo finale e nelle campane celesti. Queste scelte, così spiazzanti, non vanno lette come interventi di un regista-deus-ex-machina che manipola il racconto ed i suoi personaggi, ma anch'esse come proiezione delle mente candida di una donna dalla Fede sincera e vissuta nel quotidiano, che per lei coincide con una passione amorosa totalizzante. Ancora: è tutto aderente a Bess questo film, alla sua semplicità, al suo personalissimo ed ossimorico "spiritualismo carnale". Ciò che penalizza questo film, ed altri di Trier, sta proprio in questa sua programmaticità: nonostante il film sviluppi una burrascosa evoluzione drammaturgica di segno tragico, non si discosta mai da un assunto che finisce quindi per "essere il film". Se ci si dimentica dei tableau-vivant, dei Deep Purple e dei T-Rex, delle campane nel cielo, cosa resta? Un classico melodramma, un film romantico su di un amore contrastato, con tanto di incidente e scandali, girato solo in modo più spudorato rispetto agli standard. Il tipico "pugno nello stomaco", che non arretra davanti a niente, che mostra sesso e violenza senza pudori, ma che comunque rispetta un canovaccio già visto (con tanto di finale iconoclasta strappalacrime). Non c'è la profondità degli autori citati in precedenza, nell'affrontare determinati discorsi morali, religiosi e filosofici; e, all'interno della filmografia di Trier, non c'è nemmeno la suggestione visiva di "Antichrist" o la spregiudicatezza nell'esibire l'irrealismo di "Dogville". C'è il calvario di Bess, punto. C'è la prova di una Emily Watson memorabile, che guarda in macchina cercando e trovando l'empatia dello spettatore, abbandonandosi ciecamente (ancora la Fede!) ad un registro isterico-capriccioso che, se da una parte è ben governato da attrice e regista, finisce talora per riproporsi con troppa insistenza, suonando eccessivo e ripetitivo. Ma d'altra parte, non poteva fare altrimenti. In sostanza, "Le onde del destino" è un film con molti limiti, diversi tratti che meritavano un approfondimento migliore (specialmente il discorso sulla sessualità vissuta con i racconti, con le parole, e quindi sull'Amore trasmesso con la sola forza del Verbo), forse anche "datato", ma che indubbiamente all'epoca contribuì non poco a smuovere le acque di un cinema d'autore europeo in buona parte fossilizzato nel calligrafismo (si veniva da anni bui in cui un Bille August riuscì a vincere ben due Palme!): se io penso che dì lì a poco sarebbe cominciata la carriera di certi Dardenne, che con le varie Rosetta e Lorna avrebbero composto altri potenti ritratti di donne umiliate ma generose e volitive, sempre all'insegna di un naturalismo così fisico da trascendere in una paradossale mistica, o che Dumont con "Hadewijch" avrebbe proposto un'altra figura femminile contesa fra carne e spirito, innamorata (di Dio) sino all'aberrazione, tanto per fare un paio di esempi (ma ce ne sarebbero altri)...insomma, credo di poter dire che il lascito di un'opera come "Le onde del destino" sul cinema europeo più coraggioso e radicale degli ultimi tre lustri sia innegabile. Il film meriterebbe tre stelle, per i limiti di forma e contenuto che ho ravvisato, ma come "anno zero" per un cinema rigenerato, spregiudicato, che ci doni personaggi vivi, viscerali, trascinanti, e non figurine prese in prestito dalla letteratura più dozzinale, e per l'influenza diretta o indiretta sui posteri, gliene assegno quattro.

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