Regia di Lars von Trier vedi scheda film
È più integralista e pernicioso il protestantesimo bigotto e crudamente conformista che anima il sinedrio di teste canute di una piccola comunità scozzese degli anni '70, o quello che spinge Bess (una istrionica Emily Watson) al sacrificio estremo, pur di ridare una vita dignitosa al marito Jan (Skarsgard)? E che confine esiste tra santità e follia? Erede ideale della Maria Braun di Fassbinder, la nostra Giovanna d'Arco è una donnina sprovveduta e mite, visionaria quanto basta per avere una linea diretta con Dio, innamorata di Jan al punto di immolarsi sull'altare del sesso pur di lenire il dolore del marito - rimasto paralizzato - con il racconto di qualche prurito erotico. Riuscirà nell'intento, che pagherà con la morte, ed il suo sacrificio sarà riconosciuto in extremis da Jan.
Il gemellaggio tra malattia psichica e amore estremo fa capolino sullo schermo per l'ennesima volta, sull'onda (è il caso di dirlo) di un'araldica di tutto rispetto che annovera Adele H. di Truffaut, Betty Blue di Beinex ed Angoscia di Cukor. Ma stavolta le quasi tre ore di soggettiva con la macchina a spalla sono insopportabili, le situazioni ripetitive e prolisse, l'antipsichiatria, che rimpasta frettolosamente Illich, Goffman e Basaglia, di maniera, il giallo ocra fa l'effetto deprimente del neon ed il film - nel suo non sapere che strada prendere tra pruderie etico e prudore erotico - molto, molto noioso. Gran premio della giuria all'XLIX Festival di Cannes.
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