Regia di Lars von Trier vedi scheda film
Autentica schifezza contrabbandata per cinema d'autore, Le onde del destino è calcolato e cerebralmente programmatico. La conversione di Von Trier (avvenuta, pare, poco prima) conduce il lavoro verso una sorta di accettazione del male a prescindere dalla necessità dello stesso: il dogma (e stavolta non si tratta di manifesto...) divino diviene, così, l'escamotage con cui presentare una storia imbarazzante, poco sentita e mai veramente sofferta. Un'imbarazzata Emily Watson si sottopone ad ogni sorta di violenza pur di compiacere il proprio uomo divenuto impotente e il regista, invece di trovare il punto di vista femminile, punta sul lato machista di Stellan Skarsgard (che interpreta il coniuge paralitico...). A questo punto, l'opera diviene prevedibile, ma Von Trier la dilata in maniera inutile, con siparietti che - secondo lui - dovrebbero introdurre sette capitoli ( i peccati capitali? i sacramenti?...) per riannodare i fili della storia (ma guarda: come in un film con la Kidman...mi sembra!), mentre condanna la società di bacchettoni (ma guarda: mi pare come in un film con la Kidman...) che critica il comportamento della donna che si prostituisce (per amore...ma ricordo male o anche in un film con la Kidman, la stessa si sottoponeva a violenze per amore di una comunità...?). Tutto in Von Trier è sempre falso: cerca lo scandalo in maniera gratuita, ad ogni fotogramma senza preoccuparsi di rendere credibile una storia o i personaggi (la donna parla con Dio...come si usava nei fil m degli anni '60. Ma se ne deduce che non lo ascolta, perchè invece di comprendere la forma di sevizie cui è sottoposta, lascia che esse ne prendano - senza opporsi - il sopravvento). Cinema stantìo, urlato, mai pensato: serve ad aumentare i detrattori (che poi comunque ne parleranno) e gli ammiratori (che non lo capiranno, ma tant'è). Il ricatto emotivo, ovvio, è dietro ogni inquadratura. Ma che resta, alla fine? E quale è (se c'è) il messaggio? Certo, da quelle parti Abel Ferrara (con le stesse metafore) ha fatto meglio. Ma il regista risponderà (lo fa spesso, purtroppo...) che solo in pochi (quali?) lo possono capire. Tanto, una Palma a Canne(s) gliela daranno sempre. Anche quando le sale saranno deserte... I dati tecnici? Ah, sì. Canzoni riciclate (gli anni '70, ahiahiahi), la fotografia sgranata (perchè poi uno dovrebbe pagare il biglietto per vedere sul grande schermo ciò che si può vedere senza differenze a casa?), che, essendo affidata al grande Robby Muller (già con Jim Jarmusch), lo comprime invece di esaltarlo, la colorimetria è pessima, e le tinte desaturate macchiano lo schermo. Ps: ma perchè le immagini autoriali devono essere sempre traballanti? Non c'erano soldi per affittare treppiedi e cavalletti?
Trama demente: La povera Bess (Emily Watson, fuori parte, ma che s'ispira alla Masina) è costretta a giacere con altri uomini costretta dal marito, dopo che questi (Stellan Sarksgard, comunque monumentale) è stato costretto all'immobilità in seguito ad un incidente su di una piattforma petrolifera. La sua dehgradazione arriverà agli estremi, mentre la condanna della comunità locale metterà la donna al bando. La donna porterà la sua missione (?) al sacrificio mentre continua a parlare con Dio. Immagini supoerflue, tema bolso e noioso. E quadretti digitali nauseanti.
Regia: secondo grandi direttori del passato (Aldrich, Ford, Capra, Lubisch, Cukor...), il professionista dirige (muove) gli attori. Il novellino (o il dilettante, fate voi) muove la macchina da presa. Lars Von Trier non usa mai gli spazi (le inquadrature sono tutte strette) non lavora sui colori (li doma al computer), usa un montaggio spezzato (e ciò impedisce una lettura complessiva del girato). Cosa fa? Ah, sì. Muove la macchina da presa (nei titoli di coda, guarda caso, figura anche come camera-operator,...)
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta