Regia di Marco Ferreri vedi scheda film
Il testamento di quello che, a mio parere, è stato il più grande genio che la nostra cinematografia abbia mai avuto è un film coerente con l'evoluzione che, nel corso degli anni, ha avuto la sua inconfondibile poetica. "Nitrato d'argento" è il film che dovrebbe sancire definitivamenre il primato dell'immagine sulla persona, dell'oggetto-film sulla "carne" viva umana. Dico "dovrebbe", perchè in realtà le cose non stanno proprio così e il film che avrebbe dovuto essere inappellabilmente mortuario si rivela invece ancora ricco di residui insopprimibili di vita vera. Se infatti il film rinuncia ad ogni codice narrativo (Ferreri dichiarò pochi anni prima di morire di voler fare un flm dove protagonista non fosse un personaggio, ma l'immagine stessa) e se l'incipit/excipit con la sala piena di manichini parrebbero professare senza dubbio il nichilismo del regista, ci sono nel corso del film diversi elementi che contraddicono questo presupposto. Negli episodi (non tutti riusciti e brillanti) con cui Ferreri compie questo excursus novecentesco nella Storia del Cinema visto/vissuto nelle sale, l'immagine filmica proiettata sui grandi schermi di tutto il mondo incanta, ammalia, talora domina e prevarica, ma non si sottrae mai (nello sguardo del regista) ad una sana dialettica con chi sta al di qua dello schermo: lo spettatore popolaresco, chiassoso, rissoso e gaudente, che pare interagire brutalmente con le immagini proiettate, in un caotico corto circuito dove colore, bianconero posticcio o di repertorio creano un vitale e vibrante ibrido dove l'immagine filmica, da immateriale ed illusoria, si fa palpabile e carnale. L'omaggio, anti-retorico e non-riconciliato, di Ferreri al cinema si tiene ben lontano dall'operazione-nostalgia di Tornatore (concedendosi al limite qualche fellinismo qua e là, e regalandoci la chiccha di un backstage di "Ladri di biciclette"), diventando invece un'ennesima occasione con cui il grande cineasta milanese ripropone, con le consuete "inquadrature celibi", il suo lucido discorso sulla società e sulla natura delle persone: nel commiato a Rodolfo Valentino e in altri momenti, viene ripreso il tema del fallimento del maschio; nell'episodio ungherese e in quello americano, la prospettiva internazionalista ("Nitrato d'argento" è uno dei film più "apolidi" di sempre, rfilessione implicita anche sulla globalizzazione imminente); nell'episodio splendido del cine-forum, c'è il discorso sui giovani e sulla necessità di rivoluzionare la cultura. Vale la pena di soffermarsi su quest'ultima parte, che è un po' il nocciolo teorico del film e di tutto un percorso poetico. I giovani si ritrovano ad assistere a proiezioni semi-deserte dei capolavori di Rossellini, mangiando spaghetti (il cibo, altra ossessione ferreriana), e un ragazzo teorizza l'avvento di un cinema frammentato in migliaia di immagini disordinate, fossero anche di film trash, proiettate in contemporanea su tutti i muri. Non è forse la realtà dei nostri giorni, dell'attuale epoca di internet e degli smart-phone, dove l'immagine è disponibile in qualunque momento e in qualunque supporto, slegata da ogni senso, puro elemento decorativo? Non è forse ciò che accade in tanti equivoci "circoli ricreativi e culturali"? Ferreri, in tempi non sospetti, fiutava l'avvento di un'era di bombardamento mediatico, di svilimento dell'immagine, di reificazione del cinema e dello spettatore (esito peraltro già raggiunto nel 1969 di "Dillinger è morto"). Ma ancora una volta, quando il nichilismo pare senza alternativa, ecco che l'immagine potente di Ingrid Bergman travolge un gruppo di clienti di un ristorante: è la "grande bellezza" che compie il suo disperato urlo.
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Non ho mai visto questo film, ma m'incuriosisce molto. "Nuovo Cinema Paradiso" di Tornatore a me era piaciuto molto, ma mi pare di capire che questo abbia una poetica diversa, nonostante qualche vaga similitudine, cercherò di recuperarlo. Ciao.
me lo ricordo, un grande film, ottima argomentazione :)
Oh, finalmente qualcuno che qui ricorda e con la dovuta considerazione (genio) Marco Ferreri. Film straordinario e degna opinione. Ciao!
grazie ragazze! ;-) se vi piace Ferreri, con me sfondate una porta aperta...ok, Rossellini, Antonioni e Fellini sono stati più influenti, però il genio di Ferreri era davvero qualcosa che andava ad anticipare i tempi: un extra-terrestre...basterebbe solo vedere come ha rivoltato come un guanto gli stereotipi della commedia di costume, coi suoi primi film girati nello Stivale (dopo gli esordi iberici)...per me, dal 1964 in poi è stato il miglior regista italiano, senza dubbio...tutti i suoi film, anche i meno riusciti, meritano una visione per come rifuggono la banalità, per la prospettiva inedita con cui viene affrontato il discorso antropologico, per l'estro delle trovate...negli anni 80 e 90, il suo cinema è stato criminalmente sottostimato da una critica sprovveduta ("I Love You" è un capolavoro, ricco di idee folgoranti sul piano figurativo, lucidissimo e attualissimo, nonchè film definitivo sul feticismo; anche "Diario di un vizio" vanta idee e soluzioni che la maggior parte dei registi italiani degli ultimi 30 anni si sogna!)...era un surrealista, in una maniera del tutto peculiare: un po' italiano (il genio, l'arte dell'arrangiarsi), un po' spagnolo (la spregiudicatezza, l'anarchismo), un po' francese (la messa in scena raffinata e teorica, al di là delle apparenze)...le sue riflessioni sulla crisi della cultura fallo-centrica e sulla civiltà post-industriale (dominata dall'oggetto e dall'immagine) non hanno eguali, per profondità e finezza, in tutta la Storia del cinema...è stato forse il primo autore post-moderno...anche se non viene mai citato come referenza diretta da tanti registi contemporanei, molti di questi giungono alle medesime conclusioni coi loro film...
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