Regia di Joko Anwar vedi scheda film
Far East Film Festival 20 – Udine.
Chiamare le cose con il loro nome sarebbe una buona e saggia abitudine. È altrettanto esplicito come il ricorrere ad appellativi altisonanti coadiuvi il prolificare di una curiosità morbosa e possa aiutare a far passare un messaggio o semplicemente far vendere meglio un prodotto.
Segnatamente, leggi Satan’s slaves e la fantasia di un qualunque amante del cinema horror è già proiettata in avanti, auspicando di vedere catapultate le fiamme dell’inferno in terra. Al contrario, il film diretto da Joko Anwar smonta questo hype alla velocità della luce, rimasticando pattern collaudati per sfarinare uno scenario contrappuntato con solerzia, ma tutt’altro che prodigo nella fabbricazione di sorprese inquietanti.
Indonesia, anni ’80. Subito dopo la morte di una cantante, da anni gravemente malata, la sua famiglia comincia a essere tormentata da fenomeni indecifrabili.
Vista l’assenza temporanea del capofamiglia (Bront Palarae), le prime mosse spettano ai suoi figli - guidati dall’ormai adulta Rini (Tara Basro) – che faticano a capire come affrontare l’escalation di eventi sempre più insidiosi.
Tanto più che potrebbero essere fuori strada e non aver capito chi – o cosa – stiano realmente fronteggiando.
Satan’s slaves è frutto di una sinergia tra un consistente numero di topoi tipici del genere horror, assiepati mantenendo un ordine coscienzioso, narrativo (l’avanzamento non conosce intoppi) ed espressivo (fotografia uniformemente virata su tonalità grigie).
Entrando nella fattispecie, lo sfondo è condiviso da una casa, teatro scelto per l’intero svolgimento, e la famiglia, architrave di tutta la faida con il paranormale, spaziando tra i vivi e i morti insediandosi nel medesimo albero genealogico.
Intorno a queste due condizioni salienti, è dato ampio risalto alle superstizioni popolari, mistiche e ancestrali, con le forze del male a reclamare il maltolto (e altro che non è bene accennare), aggiungendo elementi ricorrenti quali possono essere il tintinnio premonitore di un campanello e un pozzo che – come tanti film insegnano - diviene fonte di guai.
Un banchetto che alle iniziali possessioni demoniache e ad anime senza pace, aggiunge anche gli zombie, in una scansione caratterizzata da una luce sinistra, foschi presagi pronti a tramutarsi in presenze avverse, melliflue e in continua trasformazione, perseguendo un crescendo sempre più furibondo.
Una girandola parossistica nel suo rilevare e iniettare elementi facilmente codificabili, che comunque è in grado di appagare chi è alla ricerca di una costante tensione, risultando invece troppo poco sofisticato per chi da un autore qual è Joko Anwar (The forbidden door, Modus anomali, A copy of my mind) pretenderebbe qualcosa di più di un compito canonico, per quanto redatto con mestiere.
Efficace, ma senza colpi d’ala tali da elevarne la portata.
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