Regia di Sergio Sollima vedi scheda film
Il vero, grande successo (di pubblico, più che altro) per Sollima è stato il televisivo Sandokan, del 1976; tre anni prima il regista era ancora un pur valido mestierante dedito a lavori qualitativamente altalenanti. Questo Revolver, per esempio, è un poliziesco all'italiana di stampo 'classico', cioè già perfettamente inserito nel filone che in quel periodo imperversava sul grande schermo del Belpaese: un poliziotto impotente nei confronti dello strapotere della malavita, l'idea di poter ottenere giustizia soltanto tramite la vendetta personale e uscendo dai canoni delle leggi scritte, un utilizzo iperbolico della violenza come efficace e diretta rappresentazione dei crudi tempi che corrono. Quel qualcosina di più, rispetto alla media dei prodotti analoghi, che indubbiamente c'è in Revolver, proviene tutto dall'ottimo protagonista (un Oliver Reed indubbiamente in parte) e dalla scelta di Sollima di non calcare la mano sulla componente truce nè in sceneggiatura (scritta con Massimo De Rita e Arduino Maiuri), nè nella messa in scena. Violenza, sì, azione e crudeltà: tutto questo compare sulla pellicola di Sollima, ma è comunque finalizzato allo svolgimento della storia e non fine a sè stesso, per il gusto di ordire sequenze spettacolari o di far ascoltare dialoghi intrisi di presunzione e linguaggio da bettola, caratteristiche tipiche del filone. Se Fabio Testi lascia come sempre un po' a desiderare dal punto di vista dell'interpretazione, in ruoli di contorno troviamo comunque Agostina Belli, Paola Pitagora, Frederic De Pasquale e - in poco più che un cameo - Sal Borghese. Mezzo voto in più per la colonna sonora morriconianissima di Morricone. 4/10.
Il direttore di un carcere si vede rapita la moglie e, come contropartita, gli viene richiesta la liberazione di un detenuto. L'uomo viene liberato e il direttore gli rimane alle calcagna per capire chi si cela dietro tale ricatto; si tratta di un gioco complicato e molto pericoloso.
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