Regia di Ulu Grosbard vedi scheda film
Studiata in lungo e in largo, la mente umana rimane uno dei misteri più complessi e affascinanti in assoluto. È in grado di formulare un numero infinito di pensieri, di escogitare colpi di genio e, in egual maniera, di disintegrare – anche senza preavviso - qualsiasi cosa abbia a tiro, di assorbire nuovi stimoli e di incagliarsi in loop che non danno tregua, sprovvisti di una ragionevole via d’uscita. Insomma, dispone di un potenziale pressoché sconfinato, che si muove/dimena in ogni direzione ipotizzabile e che il cinema ha studiato/sviscerato/perseguito/inseguito attraverso una moltitudine di modalità differenti, tra formulazioni ricorrenti e altre sporadiche, sfruttamenti concettuali e approfondimenti argomentati, prodotti immediati/efficaci (vedi Inside out) contrapposti ad altri che si assumono rischi rilevanti.
Chi è Harry Kellerman e perché parla male di me? s’inserisce nel suo labirinto ingarbugliato e compulsivo scegliendo quest’ultima direttiva, la più impervia. Al di là di delle considerazioni di rito poste alla sua base (quando uscì, non fu certo accolta da applausi scroscianti), che vede nell’istinto suicida un chiodo fisso, è una pellicola ricca di tipicità interessanti, nonché di un drappello di qualità dalla caratura estranea alla norma(lità).
Georgie Soloway (Dustin Hoffman – Kramer contro Kramer, Rain man) ha avuto una carriera di successo in ambito musicale e anche la sua più recente creazione è entrata subito in classifica, ma questi risultati, che gli hanno consentito di avere una vita particolarmente agiata, non sono andati di pari passo con il versante privato.
Vittima di un’insonnia snervante, si rivolge al dr. Solomon (Jack Warden – Tutti gli uomini del Presidente, Il paradiso può attendere) nel vano tentativo di trovare una soluzione al problema, ripercorrendo quelle esperienze che hanno segnato il suo percorso di uomo, passando dal complicato rapporto con suo padre alle donne che sono state al suo fianco, tra chi ha ricoperto un ruolo duraturo e chi, come Allison Densmore (Barbara Harris – Complotto di famiglia, Tutto accadde un venerdì), è stata una meteora, comunque sia significativa al punto di occupare una posizione privilegiata nella sua memoria.
Scritto da Herb Gardner (L’incredibile Murray, Una coppia di scoppiati) e diretto da Ulu Grosbard (Innamorarsi, L’assoluzione), Chi è Harry Kellerman e perché parla male di me? si avventura nel deteriorato quadro mentale del suo protagonista, nel quale piomba - estromettendo qualsiasi dubbio - nella prima ripresa per poi stazionarci fino all’ultimo fotogramma.
Con l’ausilio di questo punto di vista, fa saltare in aria i confini tra realtà e fantasia, che mescola instancabilmente senza determinare una fissa dimora, dando luogo a un groviglio di eventi che non seguono un puro ordine cronologico.
Nonostante questa viscerale/surreale disposizione, mette a punto un disordine strutturato, adattabile e mutevole, per una spirale autodistruttiva che, tra anfratti bui e fessure abbaglianti, rimbalza da uno stadio all’altro con incessante continuità (in parte, sono sottolineati da un duttile/dilettevole Jack Warden, che cambia parecchie vesti e altrettanti accenti) senza darsi pace, trattando una situazione estremamente seria facendo ampio ricorso all’ironia, principalmente in forma beffarda.
Quindi, viaggia avanti e indietro nel tempo, si agita e si rilassa a fasi alterne, con incessanti sbalzi d’umore (è quasi superfluo aggiungere come la fase tormentata sia maggioritaria), cambia agevolmente canale tramite le connessioni del pensiero, si muove sull’orlo del baratro e percorre tunnel che non finiscono mai e che non consentono nemmeno di inserire la retromarcia.
Un processo cerebrale a effetto valanga, sorretto e coniugato dall’innata e indiscutibile abilità trasformista di Dustin Hoffman (in abiti molto diversi, vedi Tootsie), che ha il merito di posizionare i riverberi migliori in prossimità del capolinea, lungo il quale spicca un altro prelibato – tutt’altro che secondario per l’incidenza mostrata - punto luce offerto da Barbara Harris, che in pochi minuti regala un’interpretazione da brividi (non per niente, fu nominata agli Oscar).
Tirando le somme, Chi è Harry Kellerman e perché parla male di me? èun film dimenticato (forse mai ricordato?), che meriterebbe di essere riscoperto o almeno di avere uno straccio d’occasione. Con una banda di oscillazione che in ordine sparso conteggia scissioni e congiunzioni, torsioni e contrazioni, che immagazzina/identifica/decodifica informazioni e mette i puntini sulle i, disquisendo – a tutto campo, tra addendi immaginati e/o vissuti – di vuoti esistenziali e del tempo che passa lasciando delle falle che esploderanno in seguito, di paranoie e rimorsi, fissazioni e tarli.
Funambolico ed estroverso, straniante e suscettibile.
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