Espandi menu
cerca
Farming

Regia di Adewale Akinnuoye-Agbaje vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Cocchan

Cocchan

Iscritto dal 7 novembre 2016 Vai al suo profilo
  • Seguaci 11
  • Post -
  • Recensioni 28
  • Playlist 2
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Farming

di Cocchan
6 stelle

Il fenomeno del farming era, duranti gli anni ‘60 fino agli ‘80, l’affido di bambini (prettamente neri) a delle foster-families che se ne prendevano cura in vece dei genitori biologici, dietro compenso da parte di quest’ultimi. Tema interessante, poco noto e trattato, ma che non trova adeguato svolgimento in questo film.

Tratto da una storia vera, Farming riprende il filone skinhead tanto caro al Regno britannico (e affini), ma questa volta posto da un punto di vista certamente atipico: un ragazzino nigeriano, preso in custodia da una famiglia bianca (ma, attenzione, Gipsy), nato e cresciuto in UK, rimpatriato in terra natia per un breve periodo e poi ricondotto, sconvolto e spaesato, in Inghilterra.

 

Il fenomeno del farming era, duranti gli anni ‘60 fino agli ‘80, l’affido di bambini (prettamente neri) a delle foster-families che se ne prendevano cura in vece dei genitori biologici, dietro compenso da parte di quest’ultimi.

Tema interessante, poco noto e trattato, ma che non trova adeguato svolgimento in questo film, sebbene sia stato diretto (in prima persona), proprio dal protagonista originale degli eventi realmente accaduti (Adewale Akinnuoye-Agbaje).

 

L’incipit, incentrato sull’infanzia del protagonista Enitan, brilla di spunti interessanti, con una fotografia giocosa sui toni del seppia (scelta forse un po’ scontata e ri-vista, ma comunque efficace), e apici non indifferenti (uno su tutti, l’imbrattamento col borotalco per rendere candido il proprio derma d’ebano, auto-infieritosi da un bambino di appena otto anni, che non si riconosce nel luogo dove vive e nel colore della sua stessa pelle).

 

Kate Beckinsale

Farming (2018): Kate Beckinsale

 

Dopo una breve parentesi in Nigeria, Eni ritorna in Inghilterra, dove il vero dramma inizia: se l’inizio era costellato da momenti ironici, una colonna sonora incalzante e colori luminosi, il seguito si presenta cupo e decadente. E decisamente meno originale. Qui subentra anche la banda dei “Tilbury Skins”, un branco di trogloditi rasati, con le tiracche e le classiche bluse della Fred Perry, che incarnano lo stereotipo dello skinhead “brutto e cattivo”. Don’t get me wrong, alcune fazioni di questo gruppo, brutte e cattive lo erano veramente (soprattutto a ridosso degli anni ‘80), ma, a onor del vero, le origini del movimento erano decisamente più socialiste ed egualitarie. A tal proposito, un rimando al film This is England è dovuto (altro esempio di film che ha, come tema centrale, la cultura Skin degli anni ‘70 in Inghilterra, dove un altro innocente bambino si ritrova immerso in questioni più grandi di lui); questo film è decisamente più pertinente e realistico rispetto a quelli che erano i movimenti Skinhead, Punk e Rude Boy.

 

Tornando a Farming, lo sviluppo centrale del film si concretizza in un ammasso di violenze gratuite, dove il climax della figura di Eni, e soprattutto la sua adesione al gruppo "Tilbury Skins", risulta poco comprensibile e giustificabile allo spettatore: le relazioni instaurate dal protagonista con i vari elementi della banda sono spesso accennate e poco chiare, addirittura inconcludenti.

L’apice verso il finale, estremamente drammatico, sarebbe potuto essere una chiusura adeguata alla vicenda, ma si sciogle successivamete nell’ultima parte, in un tiepido happy ending, in cui Eni si affranca dal suo passato tormentato, trova una sua identità e consegue degli studi in Legge, per diventare rispettabile, soprattutto agli occhi di una società prettamente bianca.

Sarebbe stato più interessante se si fosse sviluppata la tematica del titolo, il farming appunto, e il fatto che la famiglia fostering fosse gipsy, e non certo la “classica white british family” (del tipo, i diversi stanno sempre e solo tra diversi? Gli ultimi con gli ultimi?).

In particolar modo, la figura degli Skinheads avrebbe meritato maggior cura, optando o per una rappresentazione sfaccettata e realistica (alla This is England), o mantenendo una visione decisamente negativa (come in Romper Stomper, pellicola aussie con un emergente Russell Crowe, dove gli skins sono davvero cattivi, ma estremamente caratterizzati).

 

Damson Idris

Farming (2018): Damson Idris

 

In conclusione, un film dall’ottimo potenziale, svolto forse approssimativamente e con pochi spunti di vera riflessione (a parte il reiterato concetto razzismo = brutto e sbagliato).

 

 

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati