Regia di Cristina Gallego, Ciro Guerra vedi scheda film
Strutturato in cinque atti e contaminando il western con la tragedia greca, il film è di fatto (ed è per questo ancor più sorprendente) un noir pessimista sull’avidità e il potere.
Ambientato nella Colombia degli anni ’70 del secolo scorso, narra di una famiglia di indigeni invischiata in un traffico di stupefacenti in un clima davvero incandescente fra tradimenti e perdita di identità.
Pieno di intuizioni creative e visive, è un viaggio antropologico che ha una sua invidiabile e solidissima struttura drammaturgica capace di sostenerlo dalla prima all’ultima inquadratura grazie a una eccellente tenuta stilistica che lo rende indenne da possibili scivoloni verso lo stereotipo (percolo sempre in agguato in opere così composite come questa) che riesce a coniugare magistralmente il ritratto d’ambiente con il legame indissolubile con l’aldilà. . Il tutto, realizzato puntando molto sulla forza magnetica dei primi piani e ricorrendo spesso a riprese frontali capaci di creare tensione e di tenere avvinto lo spettatore.
Fra metafore e simbolismi, è soprattutto un film politico virato al femminile lucido e sincero che punta il suo sguardo (e la sua critica feroce) sulla trasformazione sociale di un paese reso vittima della manipolazione criminale della volontà in cui la progressiva cancellazione delle tradizioni secolari e l’avanzare dell’inarrestabile progresso, lo ha finito per fargli perdere innocenza e identità.
Se mai riuscirà ad essere distribuito in larga scala nelle nostre sale, è dunque un’opera da non perdere assolutamente.
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