Regia di Ralph Fiennes vedi scheda film
Dire Rudolf Nureyev, per la danza è come dire Michael Jordan per la pallacanestro, Maradona per il calcio, Lauda per l'automobilismo, Cassius Clay per il pugilato e Bolt per l'atletica leggera: una vera e propria icona. Materiale interessantissimo, dunque, per un biopic memorabile, che invece - nella mani di Ralph Fiennes che ha tradotto in immagini il monumentale libro di Julie Kavanag - si limita a un pasticciatissimo racconto su un'indomabile smania di protagonismo. La storia di Nureyev (interpretato bolsamente e senza alcuna forza carismatica dal ballerino Oleg Yvenko), nato a bordo di una carrozza ferroviaria della Transiberiana, si snoda su tre piani temporali continuamente intrecciati: quello dell'infanzia in una famiglia poverissima, con padre assente, una madre, tre sorelle e un fratello maggiori; quello della formazione in Unione Sovietica, sotto la direzione di Pushkin (Fiennes) e quello della tournée che portò la compagnia a Parigi. I riferimenti alle innovazioni introdotte da Nureyev nella danza, alla sua capacità di portare in un ruolo di primo piano le figure maschili, di assemblare balletto classico e danza moderna non vengono quasi accennati, come pure l'aspetto dell'omosessualità. Del grande ballerino sovietico, del corvo bianco innovatore, esce un ritratto grossolano, girato malissimo con un impianto da regia televisiva e senza conferire al protagonista il benché minimo fascino.
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