Regia di Carlo Mazzacurati vedi scheda film
Un film su una società che non esiste più, e che è stata sostituita da una più artificiale e omologata. Interessante ma irrisolto e con un finale che lascia l'amaro in bocca. Grandi i comprimari, ma poco incisiva la protagonista.
Non posso dire di aver particolarmente amato questo regista, che ho trovato alquanto altalenante nei risultati, e i cui film a volte mi sono sembrati avere poco senso, o addirittura un significato non molto condivisibile (vd.: La giusta distanza).
Quest'opera, sotto vari aspetti, sintetizza la mia idea nei confronti del regista: alcune buone trovate, buona selezione di attori e un certo piglio registico, che però a tratti si perde, sfuma ed evapora lasciando l'amaro in bocca e lasciando il tutto come "irrisolto".
Quest'opera, semidimenticata, riporta a tempi non così remoti, eppure lontanissimi, regalando lo spaccato di una società che già non esiste più, e che sembra echeggiare sulle note di 2030 degli Articolo 31: "Tanta nostalgia degli anni '90 [...] era difficile ma possibile [...] non si sapeva dove e come, ma si sapeva ancora perchè". Una società molto più libera e variegata di quella che ci stanno costruendo attorno, dietro alle illusioni di "sicurezza e salute" e alla favola del multiculturalismo e dell'accoglienza, che in realtà cela l'annichilimento del pluralismo. In pratica, molte razze, ma tutte assoggettate ideologicamente e indottrinate per obbedire ciecamente a falsi ideali agitati a destra e sinistra e imposti dai media di regime.
Vesna scappa, in cerca di un sogno, in quell'Italia che, appunto, non esiste nemmeno più e dalla quale oggi vale più la pena di scappare via (ma poi per andare dove, in un altro feudo WEF?), e in questa sua fuga si imbatte in personaggi di vario tipo, impersonati da attori di spessore come Silvio Orlando, Antonio Catania, Toni Sperandeo, etc.
La dimensione psicologica della protagonista sembra a dir poco latitare, nel senso che si stenta proprio a comprendere cosa la animi, cosa la spinga, e perchè o a quale scopo agisca. Gli altri personaggi non sono da meno (o da più), e in particolare quello interpretato da Antonio Albanese sembra rasentare la schizofrenia.
La "ciliegina sulla torta" del finale-non finale lascia definitivamente con l'amaro in bocca a seguito della visione: non si comprende se voglia essere una chiusura "autoriale", o semplicemente un modo per risolvere il dilemma del degno finale di un'opera. Onestamente, vista anche l'esigua durata, viene più da pensare alla seconda opzione.
La protagonista femminile non sembra particolarmente capace, nè suscita grandi simpatie, probabilmente anche a causa della trama, che non ce la fa mai capire nè diventare realmente intima.
Complice, appunto, una durata minimale, tutto scorre via agevolmente e senza annoiare, ma alla fine della visione ciò che sembra rimanere è in primo luogo l'interpretazione dei comprimari, e, quindi, quello spaccato di Italia che non c'è più: meno finta, snaturata, svilita e appiattita.
Sicuramente da consigliarne la visione, anche nella consapevolezza che film così non se ne fanno più, e quindi in generale anche un film mediocre degli anni '90 è mediamente superiore a un qualsiasi film contemporaneo. Certo da guardare per chiunque apprezzi Silvio Orlando e Antonio Albanese.
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