Regia di Stéphane Brizé vedi scheda film
71 CANNES FESTIVAL 2018 - CONCORSO "Chi combatte rischia di perdere...
Chi non combatte ha già perso"
B.Brecht
Le guerre moderne si combattono ormai tra classi sociali per la salvaguardia da una parte (i pochi) del proprio status symbol, e dall'altra (la moltitudine) del proprio già spesso limitatissimo tenore di vita. Il capitalismo sfrenato, quello ormai dilagante e senza freni, quello che spinge i cosiddetti CEO delle aziende che fanno la differenza, a produrre profitti esagerati per la maggior gloria e remunerazione di shareholders assetati di profitto come i vampiri di sangue (tra questi pure i CEO medesimi), trovano spesso più conveniente delocalizzare aziende anche produttive, in forte utile, in territori in via di sviluppo, semplicemente chiudendo bottega e burattini, evitando si cedere l'azienda a compratori terzi, al fine di non crearsi ulteriori concorrenti.
Infischiandosene clamorosamente della condizione in cui verranno a trovarsi tutti i lavoratori che da quella realtà produttiva dipendono, mandandolo avanti con dedizione e amor proprio. È quello che nel film sta succedendo a 1100 operai di uno stabilimento metalmeccanico fiorente nel centro della Francia, i cui operai si stanno da tempo battendo per rivendicare il loro sacrosanto diritto a continuare a produrre, a guadagnare per vivere e far vivere le rispettive famiglie. Le trattative mettono a repentaglio anche l'unità dei protestanti, alcuni di essi attratti dalle proposte tendenziose della proprietà, di origine tedesca, tendente a dividerli per isolare l'epicentro rivoltosi più indissolubile e deciso a non cedere.
Nel magnifico, lucido, complesso e concitato nuovo film di Stéphane Brizé, che riprende, più alla larga, ma entrando maggiormente nello specifico, il discorso rivendicativo già meravigliosamente esposto ne "La loi du marché", ci vengono mostrati gli sforzi vani di un sindacalista onesto e coraggioso come Laurent Amédéo, per tenere unito il fronte operaio, moltitudine impotente di fronte alle bieche speculazioni di una proprietà egocentrica e sorda ad ogni più ragionevole trattativa che non vada a totale sacrificio dei primi. Brizé azzecca tutto in questo splendido film: ritmo concitato che ci proietta immediatamente sul campo di battaglia, una regia che organizza il racconto sacrificando mirabilmente l'aspetto narrativo per privilegiare il taglio documentaristico e giornalistico: ne scaturisce comunque una fiction meravigliosamente camuffata, ove i dialoghi appaiono veri più del reale, e a ripensarci vengono ancora i brividi per come siano state create alla perfezione le scene concitate delle trattative, tra dialoghi urlati ove le voci si coprono a vicenda, tra isterismi incontrollati da pathos che diventano epidermici e paiono veri più del vero.
Un caos vociante di una folla nemmeno così unita, tutta soccombente e disperata allo stesso modo, ricreato alla perfezione. Impressionante! E un finale spiazzante e "loachano" in cui si ribadisce ancora una volta la drammatica ma sacrosanta regola di come continuino a "piovere pietre", sette giorni su sette, sulla classe operaia. Al momento, "At war" è la mia Palma d'oro 2018, all'interno di un Concorso ogni giorno sempre più valido e tosto.
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