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The Book of Vision

Regia di Carlo Shalom Hintermann vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Book of Vision

di obyone
4 stelle

 

scena

The Book of Vision (2020): scena

 

Che cos'è mai questo "Book of vision"? 

Un minestrone? La pentolaccia di una strega che ribolle di troppi ingredienti per produrre un artificio realmente efficace? 

O semplicemente un film uscito nel momento sbagliato? Di questi tempi le pseudo divagazioni filosofiche di Carlo Shalom Hintermann, produttore e aiuto-regista per Terrence Malick in "the Tree of life", corrono il rischio di essere fraintese da un pubblico provato dalle emergenze sanitarie.

Il film racconta di un medico del '700 e della sua caduta. Messo da parte all'arrivo di un nuovo e giovane dottore, propugnatore di una medicina che poggia sulle "spalle" scientifiche del secolo dei Lumi, il vecchio Johan Anmuth, il preferito dalla nobile Elizabeth, perde i favori di cui era colmo alla corte del generale von Ouerbach. Contemporaneamente viene invitato dalla propria giovane domestica, in odore di stregoneria, a scrivere un libro sui propri pazienti, le loro paure e i loro sentimenti al cospetto della malattia. Il corpo è l'unico interesse della medicina mentre gli umori e le vite dei malati sembrano passare in secondo piano condannando le flebili voci degli umili all'eterna evanescenza. Chi si ricorderà di loro senza uno scritto che ne perpetri la memoria in avvenire?

Tre secoli più tardi una giovane e brillante dottoressa abbandona la medicina per studiare le pagine del manoscritto di Anmuth. Presso l'università che le custodisce gelosamente si innamora di un ricercatore e viene curata da un attempato luminare per una grave malattia che la costringe a scelte che possono alterare il decorso della stessa.

 

Lotte Verbeek, Sverrir Gudnason, Filippo Nigro

The Book of Vision (2020): Lotte Verbeek, Sverrir Gudnason, Filippo Nigro

 

Lotte Verbeek, Charles Dance e Sverrir Gudnason danno continuità ai due racconti interpretando i personaggi di entrambe le epoche mentre il libro di Anmuth vorrebbe essere l'oggetto misterioso che unisce due stagioni così vicine ma così lontane. Visivamente il film è molto interessante. Le fotografie degli attori sui titoli di coda sono magnifiche. Le radici della grande quercia abbattuta sono persone ancorate alla terra, madre di tutti gli esseri viventi. Lungo le propaggini della quercia, che istintivamente si potrebbe accomunare all'albero dell'Eden giudaico, il ciclo della vita si completa seguendo il percorso che dal basso sale verso il cielo. Un embrione si sviluppa pian piano nella base scura del tronco e, come il frutto maturo, dondola dai rami più alti e rigogliosi della pianta in attesa di essere colto.

La fotografia è di sicuro impatto. La ricostruzione scenica del XVIII secolo è tanto bella quanto ricercata è la rappresentazione di una modernità oppressa dalla tecnologia. Il secolo di Anmuth è luminoso e fulgido quanto il presente è ombroso e senza gioia. Il complesso urbanistico universitario è caratterizzato da forme geometriche e da un assetto minimalista che emanano tanta efficienza quanto mancanza di calore mentre le vedute del lago e la freschezza del sottobosco popolato di spiriti sembrano ufficiare l'interconnessione tra l'uomo ed il divino, interrotta guarda caso dal progresso che avanza sotto la forma di una nuova strada.

Tra le tante disquisizioni buttate lì, lungo il corso della narrazione, quella che trova miglior compimento riguarda la medicina. Concordo nel ritenere fondamentale il rapporto dialettico tra medico e paziente ma il ritratto che Hintermann fa della scienza medica è irragionevole. Il regista, per mettere a tutti i costi il rapporto tra il curante e l'ammalato al primo posto finisce per demonizzare una materia che ha dovuto compiere un proprio percorso per arrivare allo sviluppo attuale; la medicina, come altre materie ha dovuto abbracciare l'empirismo scientifico per abbandonare certe forme di pensiero più vicine alla superstizione che alla scienza. La medicina si è perfezionata attraverso lo studio del corpo e degli organi. Forse la chirurgia, l'anatomia, la radiologia hanno posto in secondo piano le necessità spirituali dei malati per accelerare i tempi dello sviluppo tuttavia non credo sia corretto equiparare epoche così lontane tra loro lasciando intendere che la pratica medica sia contro l'interesse del paziente. La medicina odierna è un bene di tutti che molti danno per scontato. Nel '700 era un privilegio per pochi. Già questa è una considerazione su cui ragionare e su cui non vi è cenno nel film. L'atteggiamento della studiosa, che arriva al parossismo di rigettare i propri studi scientifici per credere ad un convincimento personale, una credenza, un istinto che poco ha a che vedere con le leggi della probabilità e della matematica mi lascia estremamente perplesso perché dà appigli non necessari a chi sta criticando la scienza di oggi senza un sapere scientifico alle spalle. In questi tempi attuali in cui molti vorrebbero mettere in discussione principi secolari come la sfericità del pianeta, l'evoluzionismo darwiniano, l'eliocentrismo, e non ultimo i principi della medicina e del sistema sanitario trovo questo film abbastanza irritante. Hintermann, tra l'altro, avvalla le pseudo capacità sensoriali della governante del vecchio Anmuth che prega ai piedi di un albero magico e prevede le sorti degli uomini. Crede forse alle streghe Carlo Shalom Hintermann? Così tanto da fare sembrare nobile il disprezzo degli uomini verso una donna che sembra davvero possedere il dono della magia anziché della scienza?

Detto questo c'è troppa carne al fuoco: maternità, diritto a non farsi curare, caccia alle streghe. Il ragazzino che nelle acque del lago finisce il proprio percorso terreno sembra suggerire la morte del talento e di quella intelligenza che esce dagli schemi per diventare qualcosa di importante. Ed il passaggio degli spiriti nelle stanze della biblioteca universitaria lascia intendere la necessità di riscoprire talenti sregolati che possano dare un apporto all'evoluzione dell'umanità. Forse. Perché in realtà questo "The book of vision" è tanto fumo e poco arrosto e denota la difficoltà del suo autore a mantenere salde le briglie della propria creatura che come un'ectoplasma vaga qua e là senza una meta precisa.

Un periodo sufficientemente lungo di sedimentazione non mi ha aiutato a trovare il bandalo della matassa in questo lavoro

eccessivamente criptico e parecchio sfuggente. Mi ha lasciato nella testa, invece, l'atteggiamento di una donna che abdica al proprio background medico per allinearsi al pensiero (nemmeno religioso) che la scienza è superstizione mentre la superstizione è scienza. Avrò capito il contrario di tutto. Sarà... Visti i tempi mi concedo il beneficio del dubbio e attendo numi da chi ha una capacità di astrazione superiore alla mia.

 

The Space Cinema - Torri di Quartesolo (VI)

 

Rocco Gottlieb

The Book of Vision (2020): Rocco Gottlieb

 

 

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