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Io c'è

Regia di Alessandro Aronadio vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Io c'è

di alan smithee
2 stelle

Rampollo di buona famiglia, titolare di un B&B ai bei tempi lussuoso e posizionato in un gradevole contesto da centro storico, non conquistato con sacrifici lungimiranti, né acquistato col credito di terzi, ma ereditato dal padre, ma ora decaduto a causa della concorrenza sleale di un vicino monastero, Massimo Alberti ha l’intuizione di seguire la tattica commerciale delle astute suore (dal look tarantiniano), che scopre utilizzare la forma dell’offerta, come viatico per evadere la normale tassazione prevista per i comuni contribuenti.

Tuttavia per ragguingere tal fine, ottenuto il rifiuto di poter avere tra sé in alcune occasioni il sacerdote che la congregazione di monache ha letteralmente sottomesso al suo servizio, ma incassato pure il diniego risoluto e sdegnato da parte di altri ministri di differente culto religioso, disperato, Massimo decide, dopo essersi consultato con la sorella maggiore, zelante commercialista, di inventarsi lui stesso una nuova religione e dare corso al suo agognato sogno di evasione.

Pertanto, approfittando dei veti variegati imposti dai differenti culti religiosi ai rispettivi fedeli, il ragazzo dà vita ad una religione libera ed individualista, basata e concentrata unicamente sulla ricerca del proprio dio all’interno di se stessi: inventa lo sconclusionato, ruffiano e generalista “ionismo”, culto bizzarro e improbabile che tuttavia riesce a trovare un inspiegato ed imprevedibile successo, in grado altresì di rilanciare economicamente le sorti del decaduto resort di famiglia.

Ad un intellettuale di sinistra obeso e non compreso, amante della ex moglie del nostro protagonista, ma non solo di lei, verrà affidato il compito di redigere l’atto costitutivo della setta, di ottenere il riconoscimento come religione ufficiale, e di gettare le basi per la stesura di un libro che contenga tutta l’elaborazione di un pensiero nato come una truffa, e trasformato poi in una sorta di vera religione, maturata nell’entusiasmo di fedeli in crescita progressiva, rassicurati dal permissivismo e dalla spontaneità quasi ingenua dei dogmi alla base di quel nuovo credo.

Una situazione che sfugge di mano all’apparentemente cinico ed approfittatore Massimo, che inizia tuttavia a riflettere sul suo inganno, accusando vieppiù forti e crescenti rimorsi di coscienza, ancor più quando conosce una bella fedele accorsa al suo resort nella speranza di scongiurare il ricorso ad una operazione salva-vita, indispensabile a stroncarle un male che la affligge, ma non in grado di fornirle molte certezze sull’esito positivo post-operatorio.

La commedia di costume, anzi malcostume, di Alessandro Aronadio, sceneggiata assieme al protagonista Edoardo Leo, se da una parte ha l’ardire di inserirsi nel filone “albertosordiano”, quello caratteristico della ironica denuncia dei malaffari di un paese tutto compromesso e inganni “per non pagare il dazio” e girarlo sugli altrui portafogli, dall’altro è anche vero che lo script appare, già dopo pochi minuti, affaticato, stanco, incerto, grossolano e macchiettistico sino a risultare irritante, troppo proteso a cercare di scherzare su inquietanti e reiterate tendenze di sintomatica suggestione ai danni della massa credulona e fessa.

Risultando la commedia già dai primi momenti irritante almeno come i fedeli cerebrolesi, mentecatti e fessi che accorrono in massa al cospetto del nuovo pastore di anime.

Ora, assodato come purtroppo è, che la massa nazional-popolare sia piuttosto avvezza a lasciarsi incantare, anzi abbindolare e condizionare dai contesti populisti e caramellosi portati avanti da troppa invadenza televisiva irrinunciabile ai più, quasi sempre di bassa lega e scarso valore culturale-formativo, tuttavia riuscire anche a persuaderci, come tenta di fare il film, a rendere plausibile anche solo per qualche istante che qualcuno possa farsi abbindolare da un evasore fiscale con la sua ideuzza balzana e risibile, risulta un’ipotesi davvero insostenibile, anche quando si sta in mezzo ai teoremi poco pratici e realistici di una commedia satirica e leggera come questa.

Se poi gli autori decidono impunemente di voltare pagina e toni, fino a quel momento ridanciani ed ironici, abbandonando la farsa di colore e dirigendo il racconto su binari drammatici fino a sfiorare il patetismo, grazie, anzi a causa della comparsa della bella di turno (Giulia Michelini) forte della sua tragedia da malata terminale, ecco che al film vengono meno anche gli ultimi presupposti per riuscire, da parte nostra come pubblico, se non a difenderlo, quanto meno a tollerarlo senza troppo infierire.

In un contesto stentato e piuttosto piatto, ove lo sguardo dalla poltrona si trova ad abbandonare sempre più spesso lo schermo per direzionarsi speranzoso sull’orologio, Io c’è denuncia anche un certo sottotono da parte di due dei tre protagonisti, con una Margherita Buy che se da un lato evita prudentemente certe impostazioni da personaggio incerto, insicuro, titubante, finisce tuttavia per risultare troppo di contorno, ininfluente sul contesto della vicenda, mentre un Giuseppe Battiston visibilmente a disagio, per nulla padrone di un suo personaggio ambiguo ma anche irrisolto ed indefinito, sembra limitarsi ad una definizione sommaria e qualitativamente al minimo sindacale del controverso individuo chiamato ad impersonare.

Edoardo Leo, pur simpatico per carità, sciorina tutte le sue (a volte) divertenti moine, ma il suo personaggio soffre di un eccessivo accanimento grottesco che rende tutto sopra le righe, oltre che scontato.

I personaggi di contorno sono tutte o quasi macchiette micidiali, inaccettabili, e, se non bastasse tutto ciò, l’utilizzo della solita prevedibile voce narrante, specie nell’atto di introdurre un percorso narrativo, è un incipit logoro, tutt’altro che brillante, che andrebbe severamente vietato, soprattutto in zona commedia.

 

 

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