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Huis-clos

Regia di Jacqueline Audry vedi scheda film

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La recensione su Huis-clos

di hupp2000
8 stelle

Ammirevole adattamento cinematografico della pièce "Huis clos" ("a Porte chiuse") di Jean-Paul Sartre (1944). Una grande e tutt'altro che noiosa lezione di filosofia. Sontuosa scenografia, splendido bianco e nero e dialoghi spiazzanti.

In apertura appare una didascalia che mi permetto di tradurre: “Il film HUIS CLOS che state per vedere rappresenta l’inferno quale lo concepì Jean-Paul Sartre. Non vi sono fiamme, né strumenti di tortura. Non vi sono sevizie fisiche e gli aguzzini… sono coloro di cui ci viene inflitta la presenza. L’INFERNO SONO GLI ALTRI”.

 

Nel salotto senza finestre di un insolito albergo, si trovano riuniti per l’eternità tre personaggi: la lesbica Inès, la donna di mondo Estelle e il disertore Garcin. Sono deceduti di morte violenta e ognuno di loro si è macchiato di gravi colpe ormai non più perdonabili. Condannati a “vivere” insieme, non possono avere contatti con l’esterno, fatta eccezione per un garzone d’albergo che via via spiega loro le poche e inesorabili regole cui sono indefinitamente sottoposti. Poco a poco, i tre personaggi cominciano ad aggredirsi vicendevolmente e ad odiarsi. L’inferno, appunto, sono gli altri.

 

Realizzato da Jacqueline Audry, regista specializzata nella trasposizione cinematografica di testi letterari, questo adattamento della pièce di Jean-Paul Sartre ha il merito di non limitarsi a filmare una rappresentazione teatrale che, originariamente, comprende solo quattro attori e si adegua rigorosamente al canone di unità di tempo, di luogo e d’azione. Al fine di trasformare la pièce in un’opera cinematografica, Jacqueline Audry, coadiuvata dal marito e dialoghista Pierre Laroche,  aggiunge la presenza di finte finestre dalle quali i tre protagonisti possono rivedere gli ultimi momenti della loro vita terrena e le immediate conseguenze delle rispettive dipartite. Sono immagini legate alla memoria delle persone restate in vita. Una volta scomparsi i ricordi, le finestre scompaiono. La vita dopo la morte continua solo finché qualcuno ci ricorda. Dopo, il nulla.

 

Vero e proprio compendio dell’esistenzialismo sartriano, sorretto da dialoghi di ottimo livello letterario, questa trasposizione della più nota opera teatrale del filosofo francese merita di essere (ri)scoperta per l’ottima scenografia che la avvolge e per la recitazione di tre attori tra i più popolari dell’epoca. In particolare, Arletty, reduce dai capolavori di Marcel Carné (“Hotel du Nord” del 1938, “Le jour se lève” del 1939, “Les visiteurs du soir” del 1942 e “Les enfants du paradis” del 1943), nonché da una lunga lista di enormi successi negli anni successivi, si fa notare per la sua intensa e scanzonata interpretazione di Inès, lesbica e seminatrice di zizzania. Al suo fianco, nel ruolo della elegante e perfida Estelle, troviamo Gaby Sylvia, la prima attrice teatrale che, nel 1944, portò in scena il medesimo personaggio. Si apprezzerà infine l’adeguata colonna sonora firmata dal collaudato e talentuoso Philippe Kosma (“Les feuilles mortes”, per intenderci…).

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