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The Tailor

Regia di Tran Buu Loc, Kay Nguyen vedi scheda film

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La recensione su The Tailor

di supadany
4 stelle

Far East Film Festival 20 – Udine.

Presto o tardi che sia, in ogni famiglia arriva il momento di un dibattito generazionale. Un confronto ancora più accentuato quando il futuro dei figli pare già inciso a chiare lettere sul marmo imposto dalla tradizione, benché i loro sogni conducano altrove.

Per trovare la propria strada, farebbe comodo un aiuto, una prova non rimandabile che consenta di testare le proprie capacità.

Potendo osare, non sarebbe male dare una sbirciatina al futuro, giusto per avere un’idea di cosa potrebbero produrre determinate scelte.

Saigon, 1969. La giovane Nhu Y (Ninh Duong Lan Ngoc) aspira ad aprire una boutique tutta sua, per creare capi di moda seguendo l’influenza di quella produzione occidentale che tanto la affascina.

Problema: questo obiettivo la porta a scontrarsi ripetutamente con sua madre, una sarta molto apprezzata, impegnata nel perpetrare la rinomata tradizione di famiglia.

In un momento di sconforto, grazie a un misterioso gioiello, si ritrova scaraventata nel 2017, dove incontra se stessa, in una versione drasticamente lontana da quanto avrebbe immaginato.

Sarà l’occasione per mettersi alla prova senza accampare scuse, rivalutando i comportamenti adottati e quali siano effettivamente propedeutici al conseguimento del suo sogno, nel rispetto di chi le è vicino.

 

scena

The Tailor (2017): scena

  

«Prima di cominciare a correre, bisogna imparare a camminare».

Nel caso di The tailor è fondamentale distinguere le due fasi che lo caratterizzano. L’espediente del salto nel tempo concorre alla questione, ma il film è suddivisibile principalmente per altro, ossia per la trasformazione che riguarda la giovane protagonista.

L’approccio è spumeggiante e contempla la ridefinizione delle regole, con i tempi che cambiano, ma anche forma mentis che, fra tradizione e modernità, non hanno alcuna idea di come trovare un punto di contatto. In questo frangente, la regia di Tran Buu Loc e Kay Nguyen è vellutata, leggera ma frizzante.

Qualità che si perdono per strada. Non subito, perché il viaggio nel futuro assume la dimensione di un percorso di formazione tutt’altro che fuori luogo. È comunque questione di tempo, perché dal passare all’orgoglio al capire cosa fare per completarsi, passa un oceano.

Questo intramezzo non è affatto ben sottolineato, l’attenzione finisce riversata su un versante in stile Il diavolo veste Prada, ma senza Meryl Streep, Anne Hathaway e Stanley Tucci (per inciso, qui si trovano gli stessi ruoli).

Il problema non accantonabile in alcun modo è comunque un altro. A tutti gli effetti, la seconda parte è uno slalom che inforca tutte le porte che trova dinnanzi a sé, senza azzeccarne una nemmeno per sbaglio.

Così facendo, diventa rapidamente indigesto, il mordente precedente si liquefa e l’accomodamento – totale e assolutorio – è inevitabile.

Con queste modalità, un film spiritoso, scomposto ma intraprendente, diventa pedante, con un ultimo atto che è un vero supplizio, maldestro al di là di qualsiasi misura, nel suo voler abbracciare una morale a tutto campo.

Un finale iperbolicamente indulgente, di fronte al quale non si può fare altro che alzare le mani e arrendersi allo sconforto.

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