Regia di Adam McKay vedi scheda film
Dato per assodato che il cinema sia una forma di linguaggio, si consideri la definizione di linguaggio data dalla Treccani; "la capacità e la facoltà, peculiare degli esseri umani, di comunicare pensieri, esprimere sentimenti, e in genere di informare altri esseri sulla propria realtà interiore o sulla realtà esterna, per mezzo di un sistema di segni vocali o grafici". (Enc. Treccani). Orbene, dato che non ci si trova di fronte ad un testo di Immanuel Kant o a un film di Ingmar Bergman, ma ad una pellicola destinata al grande pubblico connotata da una notevole vena ironica e anche da parecchie sciocchezze, viene da pensare che se lo spettatore non afferra alcune immagini, scene o battute, la responsabilità sia da addossare non a quest'ultimo, ma al regista, che nella fattispecie usa un linguaggio (appunto) che non è troppo elevato, ma invece inopportuno. Fuori luogo. Inadatto. O, più semplicemente, errato. Invero, se da una parte le interpretazioni sono di altissimo livello, in particolare Christian Bale, Sam Rockwell e Steve Carell sono strepitosi, e se il soggetto in se è molto interessante, la narrazione è costellata di passaggi a dir poco opinabili, come i finti titoli di coda dopo mezz'oretta di film, o la comparsa qua e là di immagini e siparietti che non si sa da dove vengano ma soprattutto dove vadano a parare.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta