"Guardatevi dall'uomo silenzioso. Quando gli altri parlano lui ascolta.
Quando gli altri agiscono lui studia la situazione. Quando gli altri dormono, lui attacca."
L'America degli Usa è certo il paese delle mille opportunità. Anche quella che permette ad un obeso sfaccendato alcolista di diventare, nel giro di pochi anni - grazie anche alla presenza soverchiante di una consorte-maresciallo da iscrivere di diritto tra gli incubi del marito-modello di tutti i tempi - uno dei funzionari di stato più influenti nelle strategie di governo dei presidenti repubblicani, fino ad assurgere al ruolo, fino a prima inedito, di vero e proprio "presidente ombra" durante i due mandati presidenziali di quel presidente-fantoccio che fu il Bush junior.
Il politico più invisibile che l'America ricordi, quello che si trovò a dover gestire in prima persona (al posto del presidente vero), l'emergenza dell'attentato del 2001 alle Torri Gemelle, decidendo ufficialmente di allontanare il capo della casa Bianca, idealmente per motivi di sicurezza, di fatto per gestire molto a proprio vantaggio, una situazione d'emergenza più unica che rara, e come tale foriera di opportunità difficilmente ripercorribili in futuro.
Un uomo scaltro e calcolatore, questo Cheney, nato e cresciuto sotto l'ala repubblicana per una scelta che il film descrive come fortuita e casuale, che lo ha indirizzato sotto la sponda partitica dell'allora presidente Nixon, maturando rapidamente le tappe di una incontenibile carriera di sola salita, per tracciare la quale ha dimostrato di saper ascoltare (avendo la fortuna di poter imparare da precettori di grande efficacia come il volpino Rumsfeld), rimanendo in disparte fino al momento più opportuno e trarre da una situazione d'emergenza, la spinta per divenire il vero uomo custode dei destini del pianeta.
Potendosi inoltre arrogare il diritto di decidere senza appello chi fossero i colpevoli dei già menzionati attentati del 2001, accentrando su se stesso, ma senza darlo a vedere ufficialmente, le decisioni focali di un paese, nonché divenendo giudice ed esecutore dei drammatici destini di coloro che si trovavano ad abitare venivano additati come i colpevoli da punire.
La figura misteriosa e piena di ombre di Dick Cheney, non meraviglia che possa assurgere ad un ruolo cinematografico di rilievo: uno di quelli che l'Academy adora e che riescono quasi sempre a regalare all'interprete che se ne prende carico di tradurne l'essenza, un premio importante come l'Oscar.
Se poi ad interpretarlo viene scelto un attore perfezionista e dotato, trasformista e attento a cesellare con cura i personaggi che gli si offrono di incarnare, come Christian Bale, contornato da professionisti di gran calibro come Amy Adams (la tenace moglie Lynne Ann Vincent), Steve Carell (Donald Rumsfeld, attore ora più che mai in stato di grazia, papabile per una candidatura Oscar ad ogni ruolo in cui ci si ripresenta dinanzi), Sam Rockwell (George W. Bush, perfetto nel rendere la vacuità un po' ottusa dello sguardo speso inebetito del suo personaggio), ecco che Vice - L'uomo nell'ombra, parte già con i connotati giusti per divenire il film che, sulla carta, può sbaragliare ogni avversario nella corsa ai premi cinematografici americani più illustri ed ambiti.
Ma la irresistibile ascesa di uno sbandato alcolista di inizio anni '60 che, incalzato dalla tenace moglie, diviene un promettente stagista durante l'amministrazione Nixon, fino a divenire il braccio destro del Presidente repubblicano nel suo doppio mandato dal 2001 al 2009, diviene soprattutto l'occasione per il regista Adam McKay (non proprio un autore tra i più raffinati ed ispirati, pur se responsabile del valido La grande scommessa del 2015) per perdersi in una ironicamente briosa ed ammiccante fiera del travestimento (fatto bene, peraltro), che se da un lato cerca di insinuarsi nelle pieghe più irresistibilmente trascinanti di una storia supposta e mai apertamente rivelata, che da cittadini del mondo abbiamo vissuto indirettamente nelle conseguenze visibili e note, e di cui ci piacerebbe molto avere conferma degli ipotizzati retroscena che ci vengono (qui ed altrove) presentati come possibili ed eventuali, dall'altro rimane solo e troppo in superficie, giocando furbescamente sulla resa mimetica dei pur esemplari professionisti chiamati a giostrarsi mirabilmente ognuno nel proprio personaggio.
Se Bale dà vita ad un'altra interpretazione memorabile, è anche vero che la regia incede sin troppo a valorizzare e contemplare le sue smorfie, peraltro perfette ed aderenti al personaggio a cui ridà vita e spessore; e lo stesso discorso vale per ognuno degli altri interpreti citati e per tutto l'ottimo cast di cui il film si giova.
Un ballo in maschera ben orchestrato e confezionato, che si atteggia a scanzonato e talvolta ironico o cinico ritratto di quarant'anni d'America ove a vincere e ad arrivare in alto è sempre l'individuo dotato di furbizia, ingordigia e destrezza, non certo l'onesto scrupoloso e trattenuto da timori nei riguardi del prossimo.
Ma alla fine Vice rimane al massimo un impeccabile ballo in maschera a cui manca un vero stile autoriale in grado di dare al film un proprio carattere e una propria linea guida che gli consenta di tracciare nuovi percorsi o nuovi stili: proprio per questo, probabilmente, furoreggerà ai tanto ambiti premi Oscar 2019, la cui Academy sappiamo amare la consuetudine e temere il nuovo o la ricerca di nuove strade linguistiche od espressive.
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