Regia di Adam McKay vedi scheda film
Quando ti avvali di un cast imponente, c’è un rischio che devi mettere in conto, potrebbe succedere che lo spettatore, incantato dal modo di recitare degli attori, finisca per perdere di “vista” la trama di fondo.
Ora sia chiaro, non potrebbe essere questo il caso specificato sopra in quanto, la storia narrata è affascinante e in parte nota quanto controversa ma succede che, nonostante tutto, sembra che ad attirare l’attenzione sia comunque non solo l’interpretazione del camaleontico Christian Bale ma anche quella di Sam Rockwell per non parlare poi della performance di Amy Adams.
Adam McKay, che aveva diretto Bale e Steve Carell (nel cast di questo film c’è anche lui, buttateci un occhio) in La grande scommessa, si avvale di un metodo di racconto lineare ma fino ad un certo punto. Utilizza probabili finali, con tanto di titoli di coda e ogni tanto finisce per tornare indietro per raccontare meglio qualcosa e lo fa senza creare confusione, riuscendo a tenere alta l’attenzione dello spettatore. Ci parla di Dick Cheney senza però mai tralasciare ciò che gli succede intorno, facendoci entrare non solo alla casa bianca ma anche in casa sua, nel suo letto, sotto le sue coperte, fin dentro il bagno dove la sera si lava i denti, pur di riuscire a creare l’empatia necessaria.
Ne ottiene l’ammirazione, in un certo qual modo, per un personaggio che è riuscito a farsi strada dal nulla. Partendo da una casa di campagna e buttandosi alle spalle il lurido destino che sembrava essergli stato appioppato. Lo vediamo entusiasmarsi per il suo primo ufficio, in uno sgabuzzino senza nemmeno una finestra, fino ad arrivare ad un passo dalla poltrona da presidente degli Stati Uniti d’America dove tecnicamente non si è mai seduto ma che ha “usato” molto più del presidente di facciata George W. Bush.
E se lo sguardo dritto in camera alla fine è di “un certo effetto”, la non-simpatia che il personaggio si porta addosso finisce per renderlo antipatico a prescindere e le manovre che usa per disseminare la paura e l’odio ci fanno pensare ad un leader che rappresenta l’autorità, lo stato ma che non immagina quanto ciò dipenda dai cittadini che non si prende la briga di tutelare.
Il film di McKay è sicuramente il frutto di un lavoro ben fatto ma null’altro sembra se non un compito ben svolto, senza passione. Racconta i fatti, nel modo migliore, ci regala un Bale impeccabile, come sempre, in sintonia simbiotica con una Amy Adams sempre più brava e un duetto con quel Sam Rockwell su cui sembra che ultimamente si stia puntando i riflettori, e meno male direi, ma pur continuando a cercare nella memoria, non riesco a vedere altro che possa definirsi degno di nota.
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