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Vice - L'uomo nell'ombra

Regia di Adam McKay vedi scheda film

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La recensione su Vice - L'uomo nell'ombra

di lamettrie
9 stelle

Eccellente. Onesto e illuminante sul mondo in cui viviamo: determinato com’è dalla maggior potenza economica mondiale, gli Stati Uniti. Di cui il protagonista (Cheney) è stato purtroppo uno dei maggiori esponenti, negli ultimi decenni.

Splendida è la ricostruzione morale di un uomo che non ha morale: un vero capitalista, di quelli cioè che hanno mandato alla rovina e all’infelicità la stragrande maggioranza del mondo, se ciò serviva alla propria gloria.

La totale assenza di coscienza di valori etici apprezzabili per solidarietà e corresponsabilità, viene ben messa in evidenza dalla sceneggiatura scritta dal regista Adam Mckay.

Un uomo cui interessa solo il potere, a qualunque costo: non è un caso che abbia per moglie una persona ugualmente drogata di apparenza e ansia di superiorità (ottimamente intrepretata dalla stupenda Amy Adams).

Eccellente è la resa della gioventù di Cheney: un cretinetti fra i tanti, stupido nei modi, violento, superficiale nei propositi: un giovane figlio di papà irresponsabile e impossibile da apprezzare, per chi abbia un minimo di valori etici. Che però, dopo gli opportuni correttivi, è divenuto – realmente, come il film mostra bene – uno degli uomini più importanti della terra.

Un vero esponente del capitalismo; ma anche un criminale seriale. In gran parte, è per sua decisione – e, dunque, sua colpa – se sono morti milioni i di irakeni e di afghani dal 2001 per poi vent’anni circa, quasi tutti completamente innocenti. Il terribile macello umano che gli Stati Uniti hanno creato – come solo loro hanno purtroppo saputo fare negli ultimi 80 anni, sconfiggendo per distacco i pur numerosi rivali di questa macabra competizione – è dovuto (come si capisce anche dal film) agli interessi delle minoranze agiate americane, che controllano completamente la politica statunitense e, quindi occidentale (compresa quella italiana, ahinoi; ma soprattutto per colpa nostra, nella scellerata adesione alla Nato); ma è dovuto anche agli interessi anche dei suoi più immorali esponenti, come Cheney, che si prestano a ciò solo per interesse individualistico, economico e di potere, sapendo che per tale scopo devono creare reati, assassini, e i peggiori orrori.

E lo devono fare anche senza alcun motivo: la menzogna, accreditata soprattutto da Cheney, che “legittimò” l’intervento americano in Irak nel 2003 (la, notoriamente falsa, detenzione di armi di distruzione di massa da parte dell’Irak di Saddam Hussein, dittatore messo al suo posto anche proprio dagli Usa nel 1980, per contrastare il “pericolo” dell’autodeterminazione islamica, incarnato dall’Iran di Khomeini), è ben ricordata da questo film; che ha anche il pregio di essere uno dei pochi capaci di mostrare questo clima, che è uno dei più importanti fattori della storia dell’umanità degli ultimi 50 anni.

A parte Brezinski, non manca nessuno dei neoconservatori, dei falchi che hanno reso l’America la più efferata, criminale e violenta macchina da guerra imperialista (senza dimenticare la non certo inferiore ferocia del Partito democratico quando è stato al potere, al di là della meschinità dell’ipocrisia) del secondo dopoguerra e, dunque, dei nostri tempi: Wolfowitz, Rumsfeld, in un bieco ritratto di gruppo, che comprende anche Bush padre e figlio, Colin Powell, Condoleeza Rice…

Splendida è pure la disamina delle contraddizioni della storia, soprattutto delle sue stagioni, qui incarnate da un essere nel complesso mediocre come Cheney medesimo: da supposto (e ben sopravvalutato) enfant prodige, a caduto in disgrazia sotto Kissinger; dagli altari per la caduta di Nixon alla crescita tra Reagan e Bush padre, fino al nuovo oscuramento sotto Clinton; alla consacrazione sotto Bush figlio.  

Coraggio, onestà intellettuale, verità, sono tanti dei pregi di questa pellicola, che ne assomma altri anche per valori estetici. Infatti è veloce, e non annoia mai, nonostante le oltre due ore; ottimo per i flashback; sorprendente per tante scelte (il film che sembra finire a metà; e in generale tante alternative sono presentate senza che lo spettatore possa prevedere quale sia la più giusta).

Ma, inoltre, il film è meraviglioso per il trucco – per il quale ha vinto l’Oscar- grazie al quale i personaggi vengono mostrati a distanza di decenni; per i costumi, sempre calati nell’epoca di riferimento (che varia in oltre 40 anni, addirittura); per le musiche; per la fotografia; per il montaggio.

Quando un giovane Cheney ribatte a Rumsfeld; «In cosa crediamo?» l’altro ride a crepapelle. Facendo così capire che il “non credere a nulla” è indispensabile, nel mondo del neoliberismo capitalista, quello che ormai stravince da cinquant’anni.

Infatti lo stesso Cheeney può mostrarsi contrario ai pannelli solari e a Martin Luther King, ma a favore dell’abbassamento delle tasse per i ricchi, e a favore anche dell’aumento delle armi in mani ai privati cittadini.

Come dimostra la dipendenza di Cheney (interpretato alla grande da Christian Bale) dal colosso economico Hulliburton, non è possibile una reale indipendenza del politico dal ricco, in una società iniqua. Eppure l’alternativa all’iniquità c’è: alla maggioranza conviene percorrerla, anche se non è facile riconoscerla per bene, peraltro nei suoi continui cambiamenti.       

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