Regia di Adam McKay vedi scheda film
Dietro gli eventi che scandiscono e condizionano la Storia, sono celate delle scelte a tavolino che, accompagnate da scomode verità, rimangono inimmaginabili. Una buona parte delle persone si barrica dietro convinzioni politiche per cui, in fedeltà alla bandiera di appartenenza, scatta automaticamente l’assenso o, in alternativa, il dissenso, ma quando i segreti fuoriescono dalle stanze del potere, è possibile soprassedere solo indossando dei paraocchi.
In Vice – L’uomo nell’ombra, Adam McKay racconta la sterminata vita politica di Dick Cheney, un punto di vista che gli consente di osservare all’incirca quarant’anni di Storia americana e puntare l’attenzione sulla genesi delle azioni intraprese dall’amministrazione Bush in seguito all’attentato alle Torri Gemelle.
Stati Uniti, primi anni sessanta. Tra studi fallimentari e lavori scarsamente gratificanti, il giovane Dick Cheney (Christian Bale) non si dimostra particolarmente brillante, tanto che sua moglie Lynne (Amy Adams) minaccia di lasciarlo qualora non metta la testa a posto.
Dopo aver partecipato a un seminario tenuto da Donald Rumsfeld (Steve Carell), Dick svolta, entrando a far parte del suo team di lavoro, al servizio del governo Nixon. Di seguito, otterrà ruoli sempre più influenti tra le fila del partito repubblicano, fino a diventare il vice presidente per George W. Bush (Sam Rockwell), un incarico che esercita disponendo di ampi poteri decisionali.
Tra un cuore ballerino, le peripezie della vita familiare e i cambiamenti degli asset politici intercorsi nel tempo, in una scalata più imponente di quanto le cariche ricoperte lascino intendere.
Pur non avendo perso il vizio di guardare altrove, come testimonia il ruolo di produttore in pellicole a matrice demenziale (Grimsby – Attenti a quell’altro, Holmes & Watson), dopo l’exploit de La grande Scommessa (un meritato premio Oscar per la miglior sceneggiatura non originale e cinque candidature), Adam McKay ha svoltato e con Vice – L’uomo nell’ombra la freccia del sorpasso è nuovamente inserita.
Passando dall’economia alla politica, l’esposizione mantiene un’impalcatura similare. Pur dovendo rapportarsi con un arco temporale considerevole e la conseguente necessità di procedere a spron battuto con salti anche brutali, l’amore del regista/sceneggiatore per il racconto al galoppo rimane inalterato, dettagliando laddove possibile (e voluto), per scartare agilmente altre pagine.
D’altro canto, si parla di una ricostruzione con inevitabili licenze, che deve correre e comunque prestare il fianco (un formato da miniserie avrebbe giovato a chiudere il cerchio su una disposizione così articolata, ma avrebbe anche obbligato ad approfondimenti ulteriori), valida principalmente per descrivere l’esercizio del potere, calamitato da uomini senza scrupoli e privi della minima idea su cosa sia il bene comune, non per forza in malafede ma fortemente condizionati da ideali personali, una rapacità degna di chi è duro a morire e non ha alcuna intenzione di mollare la presa, pronta ad aspettare il suo momento e approfittare della debolezza altrui (segnatamente, George W. Bush ne esce letteralmente con le ossa a pezzi).
In più, oltre al detto secondo il quale se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto, ritorna anche quello che ricorda come dietro a un uomo di successo sia determinante una donna decisa.
Così, in un lungo percorso personale, che sembra una battaglia a Risiko dilatata nei decenni, Adam McKay si conferma ottimo direttore d’interpreti (lo è stato anche quando in Anchorman, Ricky Bobby e Anchorman 2 pensava esclusivamente al botteghino), accalappiando il meglio su piazza. Christian Bale è protagonista dell’ennesima trasfigurazione fisica (in taluni frangenti, assomiglia pericolosamente a Chevy Chase), in una prova di straordinario istrionismo e abnegazione, Amy Adams ha il temperamento da prima della classe, Steve Carell e Sam Rockwell sono grandiosamente carismatici, mentre le retrovie sono ringalluzzite dal talento di Bill Camp, Justin Kirk, Eddie Marsan, Alison Pill e tanti altri ancora, ognuno prodigo a collaborare, posizionando un singolo mattoncino per accrescere il totale.
Questa enorme mole di materiale umano di altissimo profilo, demarca un titolo loquace, non sempre coeso, ma con un assetto belligerante e scintillanti associazioni tra immagini, parole e pensieri, che affronta di petto il cinismo con un sarcasmo sgusciante, tra burattinai e fantocci, uomini di potere che maneggiano a loro piacimento il rubinetto dei dollari e scacchiere ombrose, movimentate da chi cerca costantemente un pretesto per scatenare una rapacità che non teme niente e nessuno.
Con destrezza, un’immersione sfrenata che alla precisione preferisce la decisione.
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