Regia di Damien Chazelle vedi scheda film
Il vuoto della perdita dietro alla conquista dello spazio : mentre la missione Apollo progredisce verso la faccia visibile della luna, la mente del primo uomo che vi metterà piede ne esplora il lato oscuro, ove dimorano malinconia e dolore. Film mestissimo, toccante, non banale; fallisce però nella sintesi tra narrazione e lirismo. Voto 6 e mezzo.
La conquista della Luna è stata (anche) un viaggio nell'oscurità, che ha richiesto enormi sacrifici e sofferenze ad un gruppo di uomini coraggiosi, esigendone a volte anche le vite; questo film mostra impietosamente, senza retorica nè glorificazioni fasulle, quali prove dovessero affrontare i primi astronauti, rinchiusi in claustrofobici abitacoli di metallo, circondati dal buio del cosmo, esposti a pressioni e a forze che superano la capacità di sopportazione di un normale individuo, abbandonati nel nulla al panico e all'angoscia. Chazelle è un regista che sa mostrare quale prezzo abbiano i sogni: le piaghe alle mani del batterista di "Whiplash", la macchia d'umidità sul soffitto che umilia l'artista povero di "La La Land", e in entrambi i film la rinuncia all'amore, in nome di una grande passione, di un sogno da realizzare; qui alla durezza dell'addestramento si aggiungono eventi tragici, uno dei quali talmente vicino al protagonista del racconto da non poter mai essere superato; come in "Contact" di Zemeckis e "Interstellar" di Nolan il viaggio nel cosmo torna ad essere un mezzo estremo attraverso cui un padre e una figlia separati dagli eventi possono in qualche modo ritornare in contatto. Ma in "First man" il regista vede solo l'incubo, mai il sogno; non riesce a rendere la grandezza e la bellezza di ciò che Armstrong sta per realizzare insieme ai suoi compagni. Così come in "Uomini veri" di Kaufman si eccedeva forse nella rappresentazione degli astronauti come audaci cow-boys della "frontiera finale", qui si incorre nell'errore opposto, presentare tutta la vicenda della corsa allo spazio da un punto di vista minimale e angusto, ristretto al melodramma, insistendo su aspetti commoventi e personali, ma anche tetri e lugubri, celati dietro all'impresa; c'è il rischio di andare per certi versi fuori tema. La durata eccessiva non aiuta, a differenza delle prove superlative di Ryan Gosling e di Claire Foy, e dell'eccellente colonna sonora di Justin Hurwitz, altro reduce dei precedenti film di Chazelle.
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