Regia di Damien Chazelle vedi scheda film
Damien Chazelle è un regista che recentemente è riuscito ad avere largo seguito tra il pubblico anche più esigente grazie a Whiplash (2014) e soprattutto a La La Land (2016), la quale gli ha fruttato l'oscar alla regia (il più giovane vincitore di sempre). Per quanto acclamati si tratta di due film furbetti (ma il primo più cattivo e sentito) sopravvalutati dall'isteria del pubblico e della critica, troppo ansiosa di trovare nuovi maestri senza dar loro il tempo di crescere. First man - Il primo uomo invece è stato accolto più tiepidamente, quando invece dopo Whiplash è il film migliore del regista. Il biopic è un genere amato dall'academy e se ci metti come protagonista Neil Armstrong (interpretato da Ryan Gosling), un eroe americano che per raggiungere la Luna ha dato il 100% di sé come tutti gli eroi Chazelliani; la nomination agli oscar è pressoché sicura.
La prima cosa che si nota è la regia che non risulta assolutamente all'altezza di un regista vincitore premio oscar. Chazelle non ha mai brillato particolarmente sotto tale aspetto, e qui non fa' eccezione. Se in La La Land s'era interstardito con la moda del piano sequenza importata dal duo messicano Cuaron-Inarritu, qua cambia di nuovo approccio e per 2/3 del film gira tutto in camera a mano e primi piani, giocando con il fuoco e fuori fuoco per sottolineare didascalicamente lo straniamento del protagonista. Dopo un po' tale tecnica scontata ed eccessivamente accademica, finisce con il venir presto a noia poiché stiracchia troppo a lungo la visione di Neil Armstrong; padre di due bambini e marito di una moglie bella come Janet (Foy), che per via della morte prematura della sua figlia di pochi anni, si sente soffocare sulla Terra e per risolvere il suo conflitto interiore, deve andare sulla Luna (splendidamente sottolineata nella sequenza migliore del film quando Gosling guarda la Luna con la macchina a mano). Coerentemente con l'approccio adottato, dei vari comprimari sparsi e del contesto sociale sappiamo molto poco per via dell'alienazione ai limiti della sociofobia di Armstrong. Solo il terzo atto concede un po' di respiro allo spettatore, sfruttando il formato IMAX che ci fornisce una messa in scena di ottimo livello durante la sequenza dello sbarco sulla Luna, dove il regista si concentra sull'uomo e non sulla retorica della bandiera, la quale sparisce innanzi ai demoni interiori del protagonista.
La poca inventiva registica si nota anche nelle numerose inquadrature sulle parti sporgenti delle navicelle spaziali, che sono prese di peso da Interstellar (2014) e Dunkirk (2017) di Christopher Nolan, nonche' sequenze con montaggio ellittico quando Gosling gioca con i figli prese pari dai movimenti di macchina in un film di Terrence Malick.
Fortunatamente per noi, Ryan Gosling a dispetto di numerose critiche negative sulla sua presunta monoespressivita', che lo accompagnano sin dai film di Refn, è autore di un'altra perfomance riuscita, dove l'attore grazie all'uso accorto del minimalismo espressivo, riesce a disvelare i suoi conflitti e dubbi interiori anche con un srmplice sorriso un po' forzato che rivolge a moglie e figli. Gosling separa il corpo presente, da una mente focalizzata altrove. Foy giustamente è in un ruolo più classico ed immediato per lo spettatore, poiché è una madre che dà tutto sé stessa per i figli ed un marito con cui purtroppo entra sempre meno in sintonia tattile e comunicativa.
Una pellicola che merita una visione per il terzo atto e Gosling senza dubbio, ma che conferma i limiti di Chazelle che s'innamora di un'idea tecnica e la reitera per oltre due ore.
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