Regia di Damien Chazelle vedi scheda film
Damien Chazelle, dopo i fasti di La La Land, si concede un tuffo nella Storia con Il primo uomo, in cui ripercorre i passi che hanno portato Neil Armstrong nel 1969 sulla Luna. Ciò che accadde nel luglio del 1969 è qualcosa che fa parte della Storia e che, come Armstrong stesso ebbe a dire, rappresentò un grande passo per l’umanità intera. Era il 1961 quando il presidente John F. Kennedy annunciava agli Stati Uniti che, entro la fine del decennio, l’uomo avrebbe messo il primo piede sul satellite naturale terrestre. A prima vista si trattava di un annuncio fuorviante: la Nasa non aveva ancora messo in piedi nessun programma e necessitava, sopra ogni
cosa, di trovare gli uomini giusti per l’impresa, titanica in termini di costi e sacrifici. A uno dei reclutamenti, si presentò Neil Armstrong, un giovane ingegnere desideroso di mostrare il proprio talento ma anche bisognoso di superare la perdita della figlioletta Karen, una bambina di pochi anni uccisa da un cancro incurabile.
Da questa premessa parte Il primo uomo che Chazelle costruisce come la storia di formazione di un uomo chiamato ad elaborare il lutto per la perdita subita e a riappropriarsi della sua esistenza tramite la più ardua delle missioni: andare in un altro mondo, in quell’altrove tante volte indicato all’amata figlia durante le loro sessioni di gioco. Scandendo le varie missioni Gemini fallite ma anche soffermandosi sui contrasti familiari che inconsapevolmente sorgono, Chazelle propone un racconto fatto di grandi salti: riassumere otto anni di vittime, esperimenti falliti, piloti morti e dollari sprecati, non è facile. Così come non è facile per gli sceneggiatori restituire il clima innescato dalla Guerra Fredda e dalla lotta per la conquista dello spazio. Come se si potesse ovviare a ciò, si preferisce accennare agli Sputnik e a Gagarin rinunciando a tutte le complicazioni politiche e globali della lotta di potere: conquistare lo spazio per primi significava imporre la propria supremazia sugli altri. Ma, come va di moda oggi, la storia può essere rivista a uso e consumo dei propri vantaggi personali. Ogni tanto si affaccia timidamente un minimo di accenno a ciò che invece andrebbe approfondito: è curioso notare come le lotte contro la discriminazione razziale diventino una parentesi musical-comica o come il ’68 e la presidenza LBJ siano per Chazelle & Co. solo un contorno o uno sfondo.
Dopo la morte della piccola Karen, l’affettuoso Neil compie emotivamente dei passi indietro: si rinchiude nel suo dolore, non accenna con moglie e colleghi alla perdita, non manifesta affetto a chi lo circonda e sembra entrare in una dimensione apatica a cui ha accesso solo il suo lavoro. Le sue energie si concentrano sulle missioni Gemini, su come rimediare agli errori commessi o su come studiare soluzioni alternative. Nemmeno la morte di amici e colleghi sembra smuoverlo dal suo torpore. Raggiungere la Luna è il suo unico obiettivo: agguantarla, significherebbe costruire un ipotetico ponte con la sua piccolina e solo riuscendoci troverà pace. A nulla servono gli sforzi della moglie, figura solida e rocciosa come la Luna che con la sua presenza cerca di non far affondare la barca famigliare riuscendoci poco prima dell’allunaggio, quando costringe il marito a fare i conti con i due piccoli figli maschi.
Senza necessariamente voler puntare il dito, il problema di Il primo uomo sta nella sceneggiatura e non nella messa in scena. Chazelle mischia prepotentemente immagini nitide a fotogrammi nevrotici, attribuendo ai movimenti di camera il compito di contrastare ciò che viene raccontato. La colonna sonora è, com’è prevedibile, fondamentale: suoni, rumori e musiche, sono parte dell’intreccio, ricordando alla lontana il lavoro che spesso fanno i nostri due cineasti D’Anolfi e Parenti. La retorica, invece, è ciò che poteva esserci risparmiata: l’eroe che, separato dal suo oggetto, cerca in tutti i modi di riconquistarlo non è niente di nuovo al cinema. E non basta una messa in scena faraonica a renderlo innovativo. A pagarne le conseguenze sono soprattutto gli attori, dal sopravvalutato Gosling alla sprecata Claire Foy.
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