Regia di Ben Young vedi scheda film
Netflix Original.
Avere un incubo ricorrente è un bel problema, soprattutto quando arriva al punto di togliere il sonno e causare un forte stress, mettendo in discussione la routine quotidiana, tra una famiglia insofferente e un lavoro che diventa problematico svolgere con la precisione richiesta. Consolatevi, potrebbe sempre andare peggio e trasformarsi in realtà.
Da questa considerazione fiction, plasmata su un tappeto fantascientifico, prende forma Extinction, una produzione tutt’altro che indispensabile, nata vecchia nel suo saccheggiare i più disparati spunti dalla memoria cinefila, per giunta incapace di sviluppare un insieme in grado di reggersi sulle proprie gambe.
Da quando è afflitto da incubi che vedono un’invasione radere al suolo il suo scorcio di mondo, Peter (Michael Pena) è nervoso e inaffidabile. Ha grossi problemi in famiglia, con sua moglie Alice (Lizzy Caplan) arrivata oltre la soglia di sopportazione, e anche sul lavoro, ma rimane fermamente convinto che stia per accadere qualcosa di nefasto.
Quando - di punto in bianco - dal cielo piombano invasori sconosciuti mettendo a ferro e fuoco la città senza alcun preambolo, Peter cercherà in ogni modo di mettere in salvo la sua famiglia, individuando nel suo luogo di lavoro la meta dove dirigersi e trovare la difesa più strenua.
Extinction pare fuoriuscire da una catena di montaggio, nella peggiore tradizione Netflix. Prende svariate componenti di istantaneo richiamo mnemonico per assemblarle, in una sceneggiatura ingorda, che guarda quasi esclusivamente alla quantità senza badare al sapore finale, scritta tra gli altri anche da Eric Heisserer, lontanissimo dall’efficacia comunicativa del precedente Arrival.
In questo caso, le domande su chi siamo e sulla direzione che il mondo, in continua evoluzione, sta prendendo, sono esplicitate – più volte, tanto per rincarare la dose - a parole, ma nei fatti rimangono un suppellettile di utilità pressoché nulla.
Già, perché l’esecuzione ricorre a trucchetti risaputi e inanella parecchi cambi di scenario, il più delle volte destabilizzanti e privi di armonia, passando – brutalmente - da una famiglia in crisi all’azione più frenetica, con qualche duello rusticano (al primo torna in mente Will Smith che mena gli alieni in Independence day), da situazioni for dummies, come tali ampiamente anticipabili, al survival movie, privato di una reale linfa vitale.
Così, anche il proverbiale colpo di scena, che permette comunque di rileggere con minor fastidio più di un fatto dato in precedenza come acclarato, spinge semplicemente il pensiero altrove, per la sua formulazione à la The others, rivista più di recente in un contesto simile in Hidden - Senza via di scampo, e per la lotta tra etnie diverse, qui umani versus sintetici, rivoltando il punto di vista rispetto all’assunto di Terminator.
Una virata significativa, ma non determinante, soprattutto perché i raccordi sono quasi sempre castranti, una contingenza che pone il cast in perenne affanno. Michael Pena è solitamente un attore affidabile ma questa volta palesa un evidente disagio, Lizzy Caplan è più calzante nell’esprimere l’incredulità, mentre in ruoli secondari compaiono, senza colpo ferire, Israel Broussard (Bling ring) e Mike Colter, habitué di casa Netflix, essendo protagonista principale in Marvel’s Luke Cage e di conseguenza presente anche in The defenders.
Aggiungendo un finale spuntato, con tanto di possibile atto secondo (al cinema sarebbe stato escluso dal palese insuccesso, su Netflix non si può mai sapere… ), che non sfiora nemmeno alla lontana il pathos indubbiamente anelato, Extinction completa un quadro inconsistente, facendo la figura di una grigliata mista, cucinata senza rispettare i singoli tempi di cottura, lasciando tutti inappagati, per non dire proprio scontenti.
Posticcio e svuotato, di rara inutilità.
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