Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Un finale incredibilmente ottimista per i canoni bergmaniani sigilla una storia d'amore che è però lontana anni luce dalle favole: l'avventura di Maria ed Henrik parla molto più di Bergman che dell'amore in sè, o dell'adolescenza, della crescita, del dolore. La viva passione che rinvigorisce e dà un senso alla tensione esistenziale dei personaggi, la palpabile complicità che scorre fra i due giovani, la profondità nello scavo dei caratteri sono tutte note già sottolineate nel cinema di questo autore sostanzialmente ancora emergente (ha esordito solamente cinque anni prima), ma in realtà così personale e drastico nelle storie che rappresenta da risultare già perfettamente riconoscibile. Ecco infatti che non riesce affatto difficile ritrovare l'etica bergmaniana nei dialoghi e nelle situazioni di questo Un'estate d'amore (in sceneggiatura è intervenuto anche Herbert Grevenius, come in altre fra le prime pellicole del regista): c'è il destino imperscrutabile (che sostituisce per il momento la questione del silenzio divino), c'è la nostalgia insopprimibile per i tempi passati, c'è la difficoltà ad accettare le avversità, eppure c'è anche un ampio spiraglio di luce alla fine del (tunnel del) film, come nel primo Bergman talvolta accadeva. C'è un amore che è in realtà pura memoria, legato eccessivamente al ricordo e dannoso in quanto tale, incapace di emanciparsi dall'incubo che ne ha contraddistinto la fine; e per superare il blocco del passato che continua a riemergere senza sosta non rimane alla protagonista che ergere attorno a lei un muro protettivo: altra idea che appartiene spesso ai personaggi bergmaniani, incapaci di parlare, di comunicare, di rivolgersi al prossimo per le più disparate ragioni (la lingua straniera di Sete, la cecità di Musica nel buio, la follia di tanti protagonisti di opere future come Persona o L'immagine allo specchio). Nonostante i pochi personaggi e l'apparente semplicità dell'intreccio, insomma, anche questo Un'estate d'amore ci consegna un autore ormai adulto e capace di architettare pellicole di notevole spessore, sicuramente più sotto il profilo della scrittura che estetico; eppure rimangono indelebili scene come quella del bacio del finale, quando Maria si alza sulle punte (quante volte sono inquadrate in dettaglio nel corso del film!) per ricominciare quindi a danzare. Maj-Britt Nilsson, già nel precedente Verso la gioia, fa del suo meglio in un ruolo affine a quello che sarà di Harriet Andersson per il successivo (1953) Monica e il desiderio: ma non è altrettanto espressiva e incantevole; meno efficace - e forse anche a causa di qualche limite di scrittura, essendo nel complesso il personaggio meno definito - Birger Malmsten (pur bravo e spesso utilizzato da Bergman in quegli anni) nei panni di Henrik; ruolo minore per Stig Olin. Fotografia di Gunnar Fischer e montaggio di Oscar Rosander, con i quali ormai Bergman forma un sodalizio stabile ed efficiente. 6/10.
Un ragazzo e una ragazza vivono un'estate d'amore. Lui muore in un tragico incidente, lei ritrova il di lui diario dopo alcuni anni e rievoca con straziante malinconia il periodo. Ma il presente la vede accanto a un nuovo amore, che le dà la forza di continuare a vivere.
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