Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Il reverendo Tomas Ericsson (Gunnar Björnstrand), mentre celebra messa, è arrivato all'eucaristia e 'I comunicandi' (traduzione letterale di 'Nattvardsgästerna) sono solamente cinque tra i pochi fedeli che occupano i banchi della chiesa, mentre fuori il paesaggio è avvolto da una coltre di neve. Le persone si interfacceranno, di volta in volta, con il parroco e si verrà così a conoscenza dei piccoli e grandi drammi che turbano le loro quotidiane esistenze.
Il parroco Ericsson è un uomo del clero che ha perso la fede nel suo ministero divino ma continua imperterrito nella sua missione; riceverà uno dopo l'altro i comunicandi, che gli sottoporranno i più svariati problemi: il sacrestano Algot Frövik (Alan Edwall) vuole avere un colloquio con lui ma il prete lo rimanda a più tardi; i coniugi Persson, Jonas (Max von Sydow) e Karin (Gunnel Lindblom), con la moglie preoccupata per gli istinti suicidi del marito; la maestra Marta gli porta del cibo, che l'uomo rifiuta e gli lascia una lettera.
'Luci d'inverno' rappresenta la seconda tappa della trilogia bergmaniana sul Silenzio di Dio e narra ancora una volta del 'male di vivere' di individui che si interrogano su questioni basilari, su tutte la tangibile presenza o meno di un creatore e del disegno che ha per ognuno degli individui che abitano sulla Terra; tutti i personaggi vivono in maniera tormentata e cercano, attraverso la religione, delle risposte che finora nessuno ha saputo dar loro con certezza, dato che la persona stessa che dovrebbe veicolare in loro i dogmi ed i crismi della fede è percosso lui medesimo da forti dubbi che lo fanno vacillare su quella che è una missione da portare avanti.
Sebbene il film ripresenti i medesimi temi dell'opera che lo precede, sono ancora una volta le sue caratteristiche formali a mutare: Bergman abbandona i fiumi di parole di 'Come in uno specchio' e assistiamo quindi ad una messa in scena scarna ed essenziale, con il riferimento a 'Il diario di un curato di campagna' di Robert Bresson che, in più occasioni, è persino palese, a dei dialoghi pregnanti ma più rarefatti - eccezion fatta per i due pezzi di bravura dei piani-sequenza di Ingrid Thulin, il primo di quattro minuti e mezzo ed il secondo di due, inframmezzati da un breve flashback di un minuto che spiega il loro rapporto nato in precedenza - e ad una recitazione la più asciutta possibile, con i pregevoli duetti tra Gunnar Björnstrand, sacerdote minato sia nell'animo sia nel fisico, e Ingrid Thulin, resa quasi irriconoscibile per l'abbigliamento scialbo, gli occhiali e la pettinatura trascurata e la breve ma significativa prova di Max von Sydow, alle prese con un personaggio ossessionante ed ossessivo.
Mentre i film del cineasta francese erano pressoché tutti segnati da un pessimismo di fondo, nel film in questione si riesce a trovare almeno degli spiragli, degli squarci di luce - rappresentati visivamente grazie alla superlativa fotografia di Sven Nykvist - nell'inverno dell'animo umano per combattere e lottare, rappresentati dall'amore, come dice con le sue semplici parole il sacrestano al prete nella parte finale del film.
Un Bergman dagli umori bressoniani.
Voto: 8 (v. doppiata e o.s.).
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