Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Uno dei vertici di Bergman, molto amato dallo stesso regista (ne parla entusiasticamente nel suo libro "Immagini"). Film da camera nel senso più stretto del termine, spoglio e ascetico: Bergman vi radicalizza uno stile antispettacolare quasi bressoniano (e infatti sembra che uno dei modelli sia stato Il diario di un curato di campagna). Il tema è la crisi della fede in un pastore protestante che non riesce più a confortare i suoi parrocchiani e svolge la sua funzione in maniera esteriore e meccanica, accompagnato da paure legate alla minaccia della bomba atomica, molto attuali negli anni '60. Estremamente rigoroso, con un Gunnar Bjornstrand che all'apparenza può sembrare inespressivo ma risulta straordinariamente intenso e una Thulin altrettanto efficiente nel ruolo della maestra innamorata del pastore: la macchina da presa è sempre molto vicina ai volti degli attori e ne mette a nudo le angosce attraverso primi piani implacabili (celebre la scena in cui la lettera inviata al pastore dalla Thulin viene recitata dalla stessa attrice ripresa in un lunghissimo primo piano di sette minuti). La purezza dello stile rimarrà forse ineguagliata nelle opere successive, e il film è il migliore della famosa trilogia di film da camera. Molto bravo anche Max von Sydow nel ruolo di un uomo profondamente depresso che cedera' alla disperazione che lo rode interiormente; nel ruolo di sua moglie figura invece Gunnel Lindblom, completando un cast ricco di volti noti agli appassionati del regista, con la figura di una donna che decide di partorire nonostante il suicidio del marito, dunque un richiamo alla speranza che non manca anche in uno dei film più cupi di Bergman.
voto 9/10
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