"Si traccia un magico cerchio intorno a noi escludendo tutto ciò che può compromettere i nostri intenti, ma quando la vita spezza il cerchio questi intenti si rivelano meschini e insignificanti così tracciamo subito un nuovo cerchio, un nuovo riparo."
Questo è il momento più toccante e significativo a mio umilissimo avviso di questa pellicola che alterna passaggi felicissimi ad altri, a mio avviso, forse un po' meno ispirati. Sono reduce dalla visione de "Il Posto Delle Fragole" che ho apprezzato moltissimo, e speravo quindi in un altrettale capolavoro. Ma mentre in quello ingredienti apparentemente semplici vengono esaltati dallo stile, qui invece elementi di grande drammaticità (i panorami delle isole Fårö, la schizofrenia, l'omosessualità, l'incesto, il suicidio, la ricerca di Dio, il rapporto tra padre e figlio) pesano forse sulla narrazione e la rendono a tratti quasi innaturale e vagamente pretestuosa. Indubbiamente i pregi del film sono innumerevoli: la prova degli attori (ho apprezzato in particolare Max Von Sydow e Gunnar Björnstrand), la fotografia (a parte i primi minuti in cui appare fasulla e poco curata), la scenografia (questo è il primo film che Bergman girò sulle isole Fårö, e gli piacquero tanto che vi girò molte pellicole e vi concluse la propria esistenza), ed alcune scene, in particolare quella tra padre e figlia da cui è tratta la frase citata all'inizio e quella finale nella quale Minus riesce a parlare con il genitore.
Il titolo del film è preso da una lettera di San Paolo ai Corinzi: "Adesso noi vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; allora vedremo faccia a faccia", che fa riferimento al fatto che la nostra comprensione di Dio finché siamo vivi è confusa, mentre sarà chiara dopo la morte. La traduzione del titolo in inglese, "Through A Glass Darkly" venne ripresa dai Rolling Stones per la loro raccolta del 1969 "Through The Past Darkly" dedicata a Brian Jones che era appena deceduto.
Bergman stesso definì la pellicola un "film da camera", riferendosi alla musica da camera in generale ma soprattutto alle opere di Strindberg, il suo drammaturgo preferito, che venivano spesso chiamate "camera plays".
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