Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Nel suo libro "Immagini" del 1992, Ingmar Bergman parla sorprendentemente male di questo film vincitore di un Oscar per il miglior film straniero: lo definisce un prodotto falso e retorico, salvando soltanto la recitazione di Harriet Andersson. Secondo me, qui il regista è troppo severo con se stesso: infatti, nonostante la struttura di film da camera, il dramma psicologico su cui è imperniata la vicenda resta intenso e profondo, mentre alcune sequenze, come quelle della Andersson che immagina di vedere Dio in un ragno gigante o la sua crisi isterica, sono ancora da brividi. Se si vuole trovare un difetto, probabilmente è nel finale in cui il padre spiega al figlio la natura dell'amore in maniera verbosa e didascalica, con un lungo monologo più adatto al teatro. Ma, per il resto, mi sembra decisamente un ottimo film: le immagini sono composte con il talento consueto (ammirevoli le scelte luministiche di Sven Nykvist), lo stile spoglio e austero è influenzato dal Kammerspiel tedesco (teatro da camera), gli attori sono eccellenti (Gunnar Bjornstrand sa dare accenti di profonda intensita' al personaggio dello scrittore e Max von Sydow è un marito premuroso e un po' apprensivo, anche se non raggiungono la genialità della performance dell'unica donna in scena), l'ambientazione sull'isola del mar Baltico sapientemente valorizzata. Film perfetto per dibattiti da Cineforum su questioni esistenziali e sul problema dell'esistenza di Dio, è il primo in una Trilogia di film dedicati alla questione religiosa che vedranno il regista evolvere su posizioni piuttosto lontane dalla Fede intesa in senso tradizionale.
voto 9/10
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