Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Su una piccola e tranquilla isoletta del Mar Baltico, quattro persone stanno trascorrendo un periodo di sereno riposo. Sono David (Gunnar Bjornstrad), uno scrittore di successo, i figli Karim (Harriet Andersson), una donna che soffre di gravi disturbi mentali, e Minus ((Lars Passgard), un diciassettenne dolce e insicuro e il marito di Karim, Martin (Max Von Sydow), che fa il medico. Un soggiorno che diventa il pretesto per un resoconto sullo stato dei vicendevoli rapporti e fissare l'attenzione al punto esatto in cui iniziano a profilarsi le angosciose risposte sulle insondabili questioni dello spirito.
Il film inizia con una sequenza bellissima, con un campo lungo che inquadra i quattro personaggi uscire dall'acqua, tutti insieme, come a voler ritrovare ognuno nell'altro il senso profondo delle rispettive inquietitudini represse. Impressione questa indotta dall'evolversi del racconto, che parte come un perfetto quadretto di famiglia e poi si ferma al palesarsi delle prime incomprensioni, che segnano tanto la concreta incomunicabilità dei figli con un padre che non li conosce abbastanza e che passa molto tempo lontano da loro, quanto il sostanziale isolamento emotivo di oguno. Il fulcro verso cui tutti tendono è Karim, una donna affetta da un male incurabile e che nei momenti di maggior crisi crede di parlare con Dio. Lo identifica con una parete, con un ragno, o con tutto ciò che serve ad assecondare la folle adesione ad una verità di spirito. La sua condizione di debolezza è quanto basta per sprigionare una forza capace di condurre gli altri in uno stato di riflessione latente. Karim diventa lo specchio entro cui ognuno vede riflettersi le forme confuse delle proprie incompiutezze esistenziali, l'inutilità delle proprie ambizioni. L'incommensurabile egocentrismo dello scrittore, l'arido razionalismo dello scienziato e l'informe debolezza della carne dell'adolescente, si palesano in tutta la loro viziosa entità al cospetto dell'alienante purezza di una folle, sono squarciati come il muro che Karim ritiene di poter attraversare quando è in preda a una delle sue crisi mistiche. "La verità non scive le proprie catastrofi", dice David a Martin durante un intenso colloquio in barca, parole che indicano l'incapacità dell'esteta delle parole di trovare quelle giuste per colmare voragini dell'animo e distanze affettive, di andare attraverso lo specchio per ritrovarsi oltre la sua immagine eternamente riflessa. "Come in uno specchio" (titolo chiaramente riferito alla Prima Lettera ai Corinzi di San Paolo, XIII, 12 "Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto.") è uno dei film di Ingmar Bergman più chiaramente percorso dalla tormentata ricerca del senso di Dio nella storia, che è religiosa e laica insieme : da un lato, per come tende a conferire un origine trascendentale al profilarsi della follia e di una redenzione valida e per tutti, dall'altro, per come identifica Dio in quell'amore molto umano e molto terreno che vale a fornire la speranza che non tutto è perduto. "Dio è la certezza che l'amore esiste come cosa concreta in questo mondo di uomini", dice il padre al figlio, il quale si chiede, "Papà, se è vero ciò che dici, allora Karim è tutta circondata da Dio perchè noi l'amiamo davvero", il padre annuisce. Minus è contento, poi in segno di giubilo realizza che "papà ha parlato con me". Ha riscoperto un legame che temeva perduto, ha aperto la porta alla conoscenza. Tutto in maniera semplice, comunicando e guardando in faccia le proprie imperfezioni. Le sofferenze di Karim sono valse a prolungare delle speranze. Grande film.
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