Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
Brancaleone alle crociate dell'industria cinematografica italiana.
Tra Bertolucci e Fellini, tre ragazzi, due maschi ed una femmina, alle prese con il sogno di diventare sceneggiatori intraprendono un'avventura rocambolesca nella realtà cialtronesca dell'industria cinematografica italiana, con base a Roma, una sorta di armata Brancaleone. La partenza è avvincente e ben orchestrata. Tutto è al posto giusto; le facce sono coerenti; gli ensemble ok; le forze dell'ordine sono credibili, cosa non facile poiché in Italia si tende allo stereotipo e alla riverenza ruffiana. La macchina attraversa in modo accattivante gli spazi cittadini alla scoperta dei protagonisti. Quindi ci si dispone ad assistere ad una gustosa commedia dai toni gialli. Tra le righe note autobiografiche ben sublimate giustificano il contesto temporale. Il ristorante è proprio il famoso ritrovo della gente del cinema, ripreso in qualche film e descritto da Ettore Scola. Non vorrei sbagliarmi ma credo che l'avvocatessa sia proprio la stessa che realmente si occupava delle carriere degli illustri cineasti e attori citati nella pellicola. Una carrellata di cialtroni, zozzoni (parafrasando Sordi), guitti, ignoranti che ostacolano e respingono qualsiasi autentico spirito artistico. E' una visione che spazza via ogni impeto idealizzante. Come al solito, Virzì ha un occhio affettuoso nei riguardi dei giovani protagonisti, siano essi spocchiosi come il dotto siciliano o scavezzacollo come il toscano o affetti da manie depressive come la ragazza altoborghese; in quanto schiacciati da una società a pezzi, frantumata, disfattista, avara di modelli di riferimento se non come idoli distanti, inaccessibili. Tutto vero. Il problema è che la commedia procede tra frizzi e lazzi senza sosta esagerando e risultando ripetitiva. La trama poliziesca diventa ben presto tanto esisle - si capisce che è solo un prestesto narrativo - da essere intuitivamente prevedibile. Siamo sempre al solito problema dei film italiani che trascurano totalmente una parte importante della vita, dell'esserci al mondo: il rapporto con la morte! E' un tabù delegato alla religione che ci viene somministrata a forza fin dalla culla. Perciò, gli italiani sono in genere ipocondriaci (vedi Verdone) oppure bambinoni, mammoni che buttano tutto in caciara convinti così di avere uno sguardo ironico sul mondo che li rende superiori agli altri (vedi Vanzina). Ciò che ha reso grande e mai più riproponibile il cinema del nostro passato. Come al solito gli italiani si sono buttati sul successo come gli sciacalli sulla carogna, anziché, con l'obiettivo di preservarlo per l'avvenire. Sarà che uscivano dalla guerra; sarà quello che volete, ma si è persa la missione originaria del fare cinema per svelare il volto in ombra della nostra cultura manifesta, al quanto stereotipata, l'immagine dietro allo specchio o la realtà nascosta. I film di Fellini non erano affatto dei quadri scanzonati affettuosamente caricaturali della gente, poiché se ci fate caso, su tutto soffia il vento della nostra inesorabile mortalità, senza bisogno di metterla in scena concretamente, indicandola a spettatori sprovveduti ed infantili come fanno nei film americani: "Se non l'aveste capito questo rappresenta l'essere transeunte delle cose". No, a Felini bastava evocarlo, magari, stendendo sulle immagini un velo di malinconia, non di nostalgia. Per esempio, in Roma Fellini ci va giù duro sulla contemporaneità. Ecco perché, alla fine, di questo film abbiamo l'impressione che manchi qualcosa a sostegno delle azioni. E questo "qualcosa" mancante influenza anche la mano del regista rendendo tutto superficiale, bidimensionale. Ci sono scene ben dirette e davvero spassose ma sono episodi sconnessi. Mi viene in mente il colloquio tra il produttore, interpretato da un efficacissimo Giannini, e il giovane sceneggiatore siciliano impersonato da un esordiente da tener d'occhio. Merita di essere ricordata anche l'attrice nel ruolo dell'amante guitta del produttore altrettanto guitto. Herlitzka, ormai, è abbonato al personaggio colto e sboccatamente cinico. Non so se Virzì abbia voluto restituirci l'immagine, tutto sommato, ottimistica della società. Io non la vedo affatto così. La realtà italiana mi fa solo tanta rabbia.
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