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Side Job.

Regia di Ryuichi Hiroki vedi scheda film

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La recensione su Side Job.

di supadany
8 stelle

A seguito dell’avvento di una tragedia che colpisce indelebilmente una collettività, devastando il panorama geografico ma anche la cartina dei legami umani, viene a crearsi una ferita profonda, per la quale non è certificabile una formula magica che consenta una guarigione sicura. Se la natura ha dalla sua parte secoli, se non addirittura millenni, per riprendere lo splendore antecedente, i singoli individui si ritrovano a partire da zero e con necessità impellenti che devono trovare risposte rapide. Difficile ipotizzare un futuro radioso, d’altronde la parabola iconografica dell’araba fenice non può essere considerata la regola, bensì un’eccezione.

Complice la sua appartenenza a quella comunità, Ryiuchi Hiroki (Tokyo love hotel) affronta il tema del disastro ambientale di Fukushima, mescolando diverse tipologie narrative per armare la descrizione di un dramma che ha sconvolto il Giappone, il cui debito - sociale e naturale - da pagare è tutt’altro che estinto. 

Dopo il disastro di Fukushima dell’11 marzo 2011, Miyuki (Kumi Takiuchi) ha cambiato vita, mentre suo padre ha perso l’occupazione di agricoltore e riempie le sue giornate tra una sala slot e hobby senza particolari orizzonti.

Soprattutto, Miyuki ha cominciato a coltivare una seconda vita segreta, che ogni fine settimana la vede spostarsi a Tokyo per esercitare la professione di escort.

Nonostante un macigno che zavorra l’anima, da qualche parte bisogna trovare lo stimolo per ripartire.

 

scena

Side Job. (2017): scena

 

Con Side job., Ryiuchi Hiroki modula un’esecuzione sul post trauma che, oltre al realismo imposto da una tragedia umanamente condivisa dal mondo intero, abbraccia il lirismo scaturito da personaggi di finzione, in fondo niente di più  - o di meno – di quanto similarmente può essere accaduto a centinaia di cittadini giapponesi che hanno vissuto sulla loro pelle un’autentica catastrofe.

Riprendendo un’impostazione dosata sul doppio canale, riscontrabile anche nel confronto tra la periferia e quel formicaio di vita che è Tokyo, il regista intesse continui paralleli tra disordini interiori e paesaggistici, preferendo di gran lunga il silenzio, d’altro canto le parole sono finite da tempo e ciò che lo sguardo riesce a catturare, riporta sempre indietro la memoria, con spettri troppo freschi per essere intrappolati in un cristallo e rimossi dalla propria esperienza di vita.

Quindi, si parla di un’esistenza privata e sociale inconfutabilmente avvelenata, nella quale troppe cose si sono rotte e non si possono più aggiustare, nemmeno parzialmente, con il luogo del delitto che squarcia immagini e pensieri con la desolazione della sua attuale devastazione. 

Tematiche dall’elevato contenuto drammatico, impreziosite dal supporto delle melodie in accompagnamento delle sequenze nodali, con un cospicuo numero di scene tenute attive per quei secondi in più che permettono di far germogliare le sensazioni innestate, con qualche simbolismo di troppo e grossolano (vedi il vomito che casualmente inonda un manifesto) e alcuni strattoni nello stile che, appunto per la loro natura invasiva, non passano inosservati.

In ogni caso, Side job., colpisce sguardo e anima, assumendo talvolta forme tendenziose, riuscendo comunque a tenere insieme l’energia che produce attraverso singoli frammenti e articolati segmenti, destinati a fermentare a lungo nella memoria.

Incisivo e fecondo, ma all’occorrenza anche rarefatto.

Da vedere assolutamente.

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