Regia di Roberto Andò vedi scheda film
Un uomo misterioso contatta la ghost writer di uno sceneggiatore di successo per suggerirle una storia che lui stesso definisce ‘senza nome’. È la vicenda, vera, del furto di un quadro di Caravaggio effettuato dalla mafia negli anni Sessanta. La donna comincia a scrivere la sceneggiatura, ma la mafia – che finanzierà il film – intercetta il copione e fa pestare lo sceneggiatore ufficiale, che pure è all’oscuro di tutto. La situazione a questo punto precipita.
Nel 2019 Roberto Andò è una delle poche certezze del cinema italiano: i suoi film, oltre a offrire una confezione rifinita e accattivante, sono profonde metafore cariche di argomenti di riflessione sulla contemporaneità nostrana, ma non soltanto. In Una storia senza nome il regista siciliano, anche sceneggiatore insieme ad Angelo Pasquini e con la collaborazione di Giacomo Bendotti, mette in scena la classica storia en abyme del film-nel-film, confondendo però le acque a più riprese fino a lasciare dubbi perfino sugli elementi effettivamente realistici della trama (non solo la Natività del Caravaggio esiste, ma il quadro è stato davvero rubato dalla mafia negli anni Sessanta e non è mai più stato ritrovato); il risultato è avvincente e le due ore circa di durata del lavoro finiscono per correre via veloci. La descrizione sconfortante del mondo del cinema odierno e, di pari passo, di quello politico, non sembrano affatto esagerate; il ritmo è incalzante, la fotografia di Maurizio Calvesi e la colonna sonora di Marco Betta aiutano a rendere solida l’opera. Venendo al casting, senza dubbio riuscito, una nota di perplessità va però spesa per la scelta di Micaela Ramazzotti, che pur ormai conosciamo come una delle attrici italiane più preparate di questi anni: ma qui la sua recitazione sopra le righe pare più adatta a una commedia che a un thriller, e talvolta fa alzare il sopracciglio allo spettatore. Nulla di grave, si capisce, ma nemmeno un difetto su cui sorvolare tanto alla leggera. 7/10.
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