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Succede

Regia di Francesca Mazzoleni vedi scheda film

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La recensione su Succede

di scapigliato
7 stelle

L’Italia, da almeno un decennio, ha riscoperto il cinema di e per adolescenti, che può poi anche essere cinema esteso a qualunque tipo di spettatore se alla base non c’è una storia infantile e databile o una regia e interpretazioni semi-amatoriali. Così, da Scialla! (Francesco Bruni, 2011) ad oggi, sono triplicati i film i cui personaggi principali sono adolescenti tra i 15 e i 20 anni, protagonisti di storie d’amore, amicizia, avventure, crisi, scontri intergenerazionali e così via – caso a parte la tematica sessuale che in Italia tarda ancora a liberarsi nei contenuti come nelle forme. Se il capostipite di questa nuova ondata di film a tematica adolescenziale – e non “giovanile”, perché non vanno confusi con i vecchi musicarelli o le commedie anni ’80 al “sapore di sale” – è il film di Bruni, non va dimenticato che è Che ne sarà di noi (Giovanni Veronesi, 2004) a riaprire con potenza le porte del protagonismo ai più giovani. Titolo al quale seguiranno le “notti prima degli esami” (2006, 2007, 2008) e altri film più o meno riusciti, forse ancora in cerca di una propria poetica, di storie non stereotipate o di interpreti più complessi, che ci traghettano proprio all’inizio del secondo decennio dei 2000, quando tutto il cinema italiano, da nord a sud, dalla commedia al dramma al genere, ritrova idee e soprattutto registi e attori capaci di dare un valore aggiunto al film: l’identità attraverso l’immaginario.

Ad oggi, grazie anche al capolavoro di Bessegato, Skam Italia (2018-in corso), i film sugli adolescenti hanno di gran lunga migliorato sia la qualità visiva (regia, taglio, ambienti, etc…) sia la qualità delle storie raccontate, che attraversano a volte con estremo realismo altre volte con un po’ più di magia, le fasi oscure e al tempo stesso solari, mortifere e vivifiche, dell’adolescenza, senza però escludere i pre-adolescenti – come per esempio quelli del bellissimo I cormorani (Fabio Bobbio, 2016) – anche loro protagonisti di un periodo complesso e bellissimo, fatto di scoperte e cambiamenti illuminanti.

È lo stesso che “succede” in Succede, primo lungometraggio di Federica Mazzoleni che ritrae un gruppo di quattro amici, per una volta tanto milanesi, in un contesto sì realistico, ma dove la messa in scena strizza l’occhio all’impressionismo, con immagini ricercate e poetiche, coreografate nei minimi dettagli e con particolare cura delle luci come delle ombre, oltre a una leggerezza narrativa invidiabile in cui i drammi ingigantiti di questa fervida età assumo i toni del sogno, della burla e dello scherzo. Non un vero e proprio realismo magico come succede in La guerra dei cafoni (Barletti/Conte, 2016), Lazzaro felice (Alice Rohrwacher, 2018) o appunto I cormorani, quanto piuttosto una translitterazione poetica di un mondo concreto, ruvido e anche spigoloso.

Gli amori e le turbe della protagonista (Margherita Morchio), che coinvolgono la sua migliore amica (Matilde Passera), il cugino romano di lei (Brando Pacitto) e l’amico fraterno (Matteo Oscar Giuggioli), hanno il respiro delle storie primaverili, euforiche e nostalgiche allo stesso tempo, sintesi perfetta di un’età di inghippi e tormenti, di slanci poderosi verso l’infinito e pesanti cadute e scoramenti. L’aria fresca della primavera che si respira a pieni polmoni e i primi baci del primo sole caldo dell’anno che scaldano il corpo quanto il cuore, benché non sia ancora la stagione delle spiagge, delle magliette e dell’arsura, sono simboli perfetti per descrivere un’età di scoperte e tentativi del sé che spesso possono anche durare un secondo e infrangersi velocemente contro il primo muretto. Un’età delicata e bellissima che è stata raccontata proprio con delicatezza e bellezza dalla Mazzoleni.

A dare un valore aggiunto alla sua opera prima è l’interpretazione degli attori. Dalle esordienti Morchio e Passera, naturali e briose, la prima così timida, ma energica, da strappare sorrisi a ogni scena, e la seconda così decisa e intraprendente che sdrammatizza ogni svolta critica, a Brando Pacitto, sopravvissuto al disastro di Baby (Andrea De Sica, 2018-in corso), che in trasferta milanese conferma di non essere la spalla di nessun coatto, ma un attore-personaggio indipendente.

Gli applausi più sinceri vanno però a Matteo Oscar Giuggioli, già ampiamente apprezzato in Gli sdraiati (Francesca Archibugi, 2017), che qui dribbla con intelligenza lo stereotipo dell’amico romantico e patetico – oggi le ragazzine direbbero “cuccioloso” – per dotare il proprio personaggio di una modulazione vocale né impostata né infantile e di una caratterizzazione così complessa che l’attore articola in pose, gesti e scarti recitativi per nulla maldestri. Anzi, sa muoversi in scena con intuito, sa relazionare la propria interpretazione con l’ambiente, gli oggetti di scena e gli altri attori; sa rispettare i turni di parola con naturalezza e sa essere personaggio attivo anche quando non ha battute, quando l’attenzione è tutta per altri personaggi.

Che questo sia frutto di uno studio approfondito del personaggio oppure semplice istinto naturale poco importa. Importa che Giuggioli, insieme a Ludovico Tersigni e Federico Cesari, abbia confermato di essere il volto di punta della nuova generazione di attori italiani dotati di freschezza e istintività attoriale non teatrale, generazione che segue a ruota gli Scicchitano, gli Arcangeli e i Carpenzano, che a loro volta inseguono i Richelmy, i Franceschini e i Marinelli, per arrivare alla vetta, Elio Germano, protagonista, guarda un po’, proprio di Che ne sarà di noi.

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