Regia di Jacopo Rondinelli vedi scheda film
Due abili bikers spericolati, disposti a sfidare pure il pericolo del vuoto per sperare di lucrare sul video che li immortala furoreggiando sui socials, si trovano ognuno afflitto da gravi problemi economici che inducono l'uno, sigle impenitente, ad indebitarsi con gli usurai, e l'altro, padre di famiglia non proprio emblema di maturità, a scontrarsi con la compagna assennata, che gli rinfaccia quotidianamente le responsabilità legate al ruolo genitoriale.
Motivi sufficienti per indurli a partecipare ad una misteriosa convocazione di gara ove i due dovranno misurarsi contro altri concorrenti, per una sfida di bike estrema che prevede una lauta ricompensa per il vincitore.
Decisione che li catapultera' entro una diabolica trappola organizzata sadicamente nel minimo dettaglio al fine di dar vita ad una sorta di snuff sacrificale, ove realtà ed inganni informatici si scambieranno la staffetta di un percorso mortale.
Musica tamarra, ritmo indiavolato in stile videoclipparo, gran ritmo e mirabili tecniche di ripresa e montaggio, più che cinema in senso compiuto ed assennato.
Non bastano alcune pur notevoli ardite riprese di giravolte colte nell'atto di compiersi (con strumentazione"Gopro" indenne agli urti), per fare di questo prodotto un'opera cinematografica in pieno diritto.
Ciò che resta nel piatto, dopo le acrobazie, sono attori volenterosi che scalpitano, strillano e urlano (la doppiatrice della ragazza ha una voce intollerabile, snervante, aizzatrice); un percorso ad ostacoli solo esclusivamente in discesa, realisticamente inverosimile anche partendo dal fatto che i due vengono catapultati a valle da una cima innevata delle Alpi.
La fotografia sgranata da reality non contribuisce a renderci simpatica l'operazione, ed un sentimentalismo smodato come a trovarci dinanzi ad una creatura "made in De Filippi" ci allontanano dalla iniziale ipotesi di trovarci ad una nostrana variante di The cube.
Siamo piuttosto nei dintorni di un reality più maldestramente finto ed edulcorato di quelli trasmessi in diretta tv, con l'aggravante di una recitazione piuttosto acerba, effettata e tutta a scatti, costruita su personaggi delineati in modo superficiale tutti alti e bassi.
Siamo sicuri di stare di fronte ad un prodotto cinematografico? È sufficiente l'uscita in sala per rivendicarne l'identità?
Ride pare sfruttare il percorso ad ostacoli mortali ampiamente collaudato in serie fortunate americane a largo budget come Hunger Games, ma qui pare proprio che l'idea di cinema latiti, giustificata tanto meno dalla insistente presenza di quella irritante ed abusata tecnica del mockumentary, qui servile alla trama, ma ostentata fino a provocare irritazione.
Frasi solenni pronunciate dai due sventurati ed imprudenti protagonisti, tipo "Non sei autorizzato a vivere solo perché hai una famiglia", non aiutano a cercare di trovare un atteggiamento indulgente verso un prodotto che certo ha il coraggio almeno di tentare una dinamica ed una impostazione di racconto che si adatti ad una mercato non più e solamente appannaggio di spettatori nazionali.
Non si intende qui criticare, a priori e per partito preso, l'ostentazione sovrana verso un comportamento preimpostato da belli, tosti e dannati che ben si intona al clima videoclipparo della pellicola, alla quale si riconosce peraltro l'ambizione di aver certamente saputo affrontare con stoicita le probabili difficoltà legate alla limitazione di mezzi che queste iniziative spesso di portano appresso; piuttosto invece la prosopopea, la retorica buonista con cui si costruiscono personaggi solo apparentemente contro sistema, in realtà pure loro vittime di un disegno che ce li restituisce monocordi e prevedibili nei modi come nelle azioni, sopraffatti dalla solita trappola perfetta costruita in progress, ma gia' stracca ad inizio percorso, nonostante le pseudo sorprese che la missione compiaciuta e chiassosa dei due eroi/vittime prevede.
Il ricatto del sentimentalismo in saldo tutto trucidamente televisivo è palpabile. Si tenta, verso la fine, la via dello snuff macabro alla Eli Roth, magari a maggior attrazione verso mercati più vasti rispetto ai nostri limitati confini, ma si ottiene più che altro un reality-farsa che snerva ed irrita come in poche altre circostanze.
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