Regia di Dennis Bartok vedi scheda film
Dall'Irlanda un film ad alto budget, ben costruito visivamente ma anche noiosamente conforme allo standard (medio/basso) del filone sui fantasmi animati da pessime, quanto poco chiare, intenzioni. Il classico film ispirato da cliché orientali, già fuori moda vent'anni fa.
Dana (Shauna Macdonald) è una ragazza sportiva, felicemente sposata e con una figlia, Gemma (Leah McNamara), ormai adolescente. Una mattina, durante il consueto allenamento, con corsa lungo le vie cittadine, rimane vittima di un violento incidente stradale. Dopo essere stata alcuni minuti tra la vita e la morte, Dana riprende conoscenza -uscendo dal coma- in una stanza dell'Hopewell hospital: non può parlare e vive con il supporto di una macchina. Tra sporadiche visite del marito e della figlia, la donna inizia ad avere insolite visioni che si manifestano nelle ore notturne, delle quali fa parola con il paramedico Trevor (Ross Noble). Nel 1984 Eric Nillson (Richard Foster-King), un infermiere soprannominato "unghie" per via di una deviazione psichiatrica autolesionista, dopo essere stato accusato dell'omicidio di cinque bambine, si è tolto la vita proprio nella stanza in cui è ricoverata Dana. Forse l'avere sorpassato -anche solo per pochi momenti- il confine della morte ha creato un varco, attraverso il quale "unghie" di manifesta. Ma in cerca di chi, o di cosa?
"Nessun ricordo, solo voci intorno a me... persone morte, che mi afferravano. Potevo sentire le loro mani, potevo sentire le loro dita premere sulla mia pelle. Mi tiravano giù." (Dana / Shauna Macdonald, così ricorda i tre minuti trascorsi nell'aldilà)
Quando si recensisce un film è sempre utile farne una personale sintesi. È utile non solo per mantenere alta l'attenzione su quanto visionato ma soprattutto perché scrivendone, ad esempio, la trama spesso si riesce più (e meglio) a comprenderne il contenuto e quindi il valore (sempre in un'ottica tutta personale) del film. Almeno da un punto di vista narrativo, che subentrano -inevitabilmente e per fortuna- altri parametri da considerare. Preambolo per sottolineare come il soggetto di questo Nails, partito benissimo, finisca per accartocciarsi a metà corsa, per poi "incidentarsi" con un finale distorto, banale, prevedibile ed anche parecchio confusionario. Di confusione infatti, in questo lungometraggio, ce ne sta parecchia, a cominciare da un titolo che focalizza su un aspetto (le unghie?) buttato giù senza nesso logico nella trama, pertanto davvero fuori tema. Inoltre, se si cerca in un film horror qualche momento di novità allora Nails è assolutamente da evitare, perché appare una (brutta) copia di uno dei tanti lunghi e monotoni horror orientali di inzio millennio (cose sovrastimate -e di una pallosita' inarrivabile- tipo Dark water per intenderci): ovvero la solita nota, arcinota e stranota storiella a base di spettri, in grado di far sobbalzare l'ingenuo e distratto spettatore solo a causa di improvvisi ed inattesi botti sonori.
Il fatto che Dennis Bartok, cineasta e sceneggiatore irlandese, sia qui al debutto dietro la macchina da presa non giustifica affatto il discutibile risultato ottenuto, soprattutto se considerato il budget (qualcosa attorno ai cinque milioni di dollari) e la professionalità dello staff tecnico, con menzione di merito al bravo direttore della fotografia, che qui infonde un tono freddo e glaciale al girato, facendo ricorso a faretti che diffondono cromatismi verdi e blu. L'approssimazione del testo è tutta da imputare all'inadatto sceneggiatore che riesce a sminuire, anche in ruolo di regista, il contesto estetico ospedaliero, ben noto a chiunque (o in veste di ospite o perché in visita a qualche parente). Rimane impresso l'uso inquietante della tecnologia, qui in supporto alla perduta capacità dialettica della protagonista che si vede costretta ad esprimersi attraverso una tastiera collegata ad un microfono. Dialettica sostenuta talvolta quando in completo isolamento, con una entità non di questa "dimensione", e che ricorda -in parte e a causa del "varco"- Lo strano caso del signor Valdemar. Ma questi parsimoniosi momenti riusciti sono davvero poca cosa, confronto agli ottantacinque minuti "persi nella visione" e, soprattutto, mal spesi dal secondo tempo in poi.
Curiosità
Da salvare è sicuramente la riuscita caratterizzazione dello spettro, animato "corposamente" dal bravo Richard Foster-King: in particolare le manifestazioni materiche dell'entità ricordano -per postura con testa inclinata, look da zombie e ambientazione ospedaliera- taluni revenants fulciani, apparsi nel mitico L'aldilà ... e tu vivrai nel terrore (1981).
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