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Che gioia vivere!

Regia di René Clément vedi scheda film

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La recensione su Che gioia vivere!

di hupp2000
8 stelle

Singolare coproduzione italo-francese. Siamo in un periodo durante il quale le due cinematografie camminavano spesso a braccetto, con risultati di grandissimo livello. Non è il caso di questo film, segnato da non poche ingenuità e da una trama piuttosto scontata, ma un film raccomandabile per molti motivi. I Francesi ci mettono la solida regia di René Clément e il protagonista Alain Delon, un nome una garanzia. Il primo sembra concedersi una pausa quasi evasiva dopo il precedente e assai più impegnativo “Plein soleil” (“Delitto in pieno sole”). Ne era stato protagonista lo stesso Alain Delon che, nello stesso anno si era magnificamente prodotto nell’intensissimo e grave “Rocco e suoi fratelli” di Luchino Visconti. Onorano entrambi dignitosamente il loro contratto. La vicenda si svolge però a Roma e quasi tutti i personaggi sono attori italiani. Veniamo così dilettati da alcuni dei migliori interpreti dell’epoca. Gino Cervi non ha certo difficoltà a riciclare il suo burbero e ingenuo “Peppone”, comunista ruspante, qui in versione anarchica. All’indimenticabile “Capannelle” (Carlo Pisacane) viene assegnato un ruolo certamente macchiettistico, ma che va ben oltre la semplice comparsata. La figura del nonno anarchico e bombarolo da fumetto gli calza a pennello. Altrettanto gustosa, anche se sacrificata nell’economia del film, la prestazione di quel gigante che fu Paolo Stoppa, in veste di barbiere filo-fascista, padre di famiglia conformista, mediocre come tutti i benpensanti. Ugo Tognazzi accetta una parte grottesca, facendosi affiancare da un non meno buffonesco Aroldo Tieri, in occasionale supplenza di Raimondo Vianello o Walter Chiari. Anarco-comunisti di un qualche paese dell’Est europeo, con barba, cappellacci e bombe da piazzare nel centro storico di Roma, i due marpioni parlano tra loro in un grammelot slavo di esilarante fattura. Ci si diverte e si resta anche estasiati di fronte ad una Roma in bianco e nero, ripresa direi quasi con amore da Henri Decaë, il direttore di forografia di opere memorabili come « Les 400 coups », « Ascensore per il patibolo » e il succitato « Plein soleil », per citarne solo alcuni. Non meno lodevole è la ricostruzione, nel 1960, del centro di Roma di 40 anni prima. Un intervento di chirurgia estetica che oggi sarebbe impossibile.

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