Regia di Emilio P. Miraglia vedi scheda film
Un uxoricida, una volta uscito dal manicomio, torna tranquillamente a vivere nella sua villa. Qui ospita donne dai capelli rossi, che puntualmente tortura e uccide, in quanto gli ricordano la defunta moglie. Fino a che si innamora di nuovo e si risposa; a quel punto il fantasma della prima moglie si sveglia.
Dopo un lungo apprendistato come assistente (di, fra gli altri, Salce, Lizzani e Civirani), alla fine degli anni Sessanta Emilio Pompilio Miraglia debutta dietro la macchina da presa e firma sei pellicole in cinque anni. Per poi scomparire dal mondo del cinema. Come si può intuire, la media qualitativa delle sue opere lascia abbastanza a desiderare e questo La notte che Evelyn uscì dalla tomba può tranquillamente dimostrarlo. Nel momento in cui esplode il thriller all'italiana, sulla scia dei primi successi di Dario Argento (1970-71), fra i tanti registi di serie B e C che provano a inserirsi nel filone c'è anche Miraglia, che qui lavora su una sceneggiatura da lui stesso scritta insieme a Fabio Pittorru e Massimo Felisatti (questi ultimi due autori del soggetto), francamente prevedibile e del tutto priva della necessaria, basilare tensione che dovrebbe costituire l'anima del lavoro. Anche dal punto di vista degli interpreti il film non brilla: Anthony Steffen è il protagonista modesto che conosciamo, mentre al suo fianco troviamo Marina Malfatti, Giacomo Rossi-Stuart, Enzo Tarascio, Umberto Raho ed Erika Blanc. Non pago del mediocre risultato, Miraglia ci riprova immediatamente mettendo in scena La dama rossa uccide sette volte (1972). 2,5/10.
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